e Cosimo Archibugi, che intuendo la mia dedizione alla psicanalisi, per me utilissimo strumento per districarsi nelle vicende della vita, seppure “non condividendo” considera “giusta”la mia fiducia nell’amore.
Ma questa “fiducia nell’amore” è un tema che va approfondito, e che vorrei spiegare un po’ meglio.
Infatti non si tratta di un tema “morale”, come inteso da Cosimo Archibugi, ma di un tema scientifico.
La psicanalisi è una scienza che si occupa dello studio della psiche, ma vive nella contraddizione apparente per cui soggetto ed oggetto di studio coincidono.
Spiego meglio: se io, Giorgio, intendo osservare Carlo, i suoi sentimenti, le sue emozioni, ciò che di lui non è “misurabile” come la temperatura del corpo o la pressione arteriosa, il peso e l’altezza e il colore degli occhi …, dispongo soltanto della mia sensibilità.
Al di là di ciò che Carlo “dice” con il linguaggio verbale e non verbale, esiste ciò che Carlo “suscita in me stesso”: emozioni, paura, rabbia, disagio, amore, odio etc etc.
In questo senso l’idea generica dell’amore è soltanto una chiave di lettura del mondo.
Ognuno di noi per sopravvivere ha bisogno di amore. Quando ci si sente non amati si perde anche la capacità di amare. E questo molte volte ha conseguenze drammatiche.
Poi l’amore permette di sopravvivere soltanto se si hanno sufficienti mezzi “economici” di sussistenza.
“Tutti sappiamo che i bambini del terzo mondo, nonostante le cure materne, muoiono di fame. Pochi invece sanno che anche i bambini nei paesi a più elevato sviluppo socio-economico, che hanno a disposizione cibo in abbondanza e cure igieniche adeguate, si ammalano fino a morirne, se sono privati delle carezze e del contatto di cui hanno così tanto bisogno. René Spitz (Il primo anno di vita), noto neuropsichiatra infantile degli Anni Trenta, ricercò e studiò a lungo (ne “Il primo anno di vita del bambino”) le cause del marasma infantile, malattia caratterizzata da progressivo deperimento organico, che portava a morte i piccoli ospiti degli orfanotrofi americani.
E alla fine giunse alla conclusione che nell’ambiente asettico, bianco e silenzioso delle nursery, quello che mancava era un contatto caldo, affettuoso, variato, che costituisse lo stimolo della vita e della crescita. I bambini in stato di carenza affettiva attraversavano vari stati di depressione sempre più profondi fino a lasciarsi morire.”
Ciò che noi proviamo, in rapporto con gli altri, è un continuo mutamento dei nostri stati d’animo.
Noi cambiamo continuamente, e una grande parte dei cambiamenti del nostro sentire “amore” è in rapporto al nostro vivere insieme agli altri in un continuo scambio emotivo ed affettivo.
Adesso io ritengo che la sopravvalutazione degli aspetti economici, su cui tutto il mondo politico punta per ottenere i voti per essere eletti e riuscire a governare un Paese, con notevoli vantaggi economici anche per se stessi, sia una malattia del nostro mondo da cui difficilmente potremo guarire.
Il percorso di riappropriazione della nostra affettività, poterla riconoscere come un aspetto fondamentale della nostra esistenza.
La capacità di leggere il proprio vissuto, la propria sensibilità e accettarla come una ricchezza che ognuno di noi possiede e che può utilizzare per godere della propria vita.
Lo scambio affettivo continuo che è al centro dell’esistenza.
Questi sono gli aspetti che potremmo porre al centro della nostra vita politica, della nostra proposta di riforma dell’organizzazione sociale.
Perché se il concetto di ricchezza non è più legato al possesso di beni materiali, bensì alla propria ricchezza interiore, alla propria ricchezza affettiva, allora i parametri su cui centrare la propria attività politica e sociale cambiano completamente.
Le nostre rivendicazioni chiederanno maggior TEMPO piuttosto che maggior DENARO.
Ma invece viviamo in un epoca dove la cultura dell’ultimo vincitore delle elezioni (non dimentichiamoci di Berlusconi, un simbolo della scelta che una buona parte di Italiani ha fatto) è quella di un uomo che con i soldi può comprare qualsiasi cosa, dai calciatori ai giudici, dai parlamentari alle donne.
E proprio su questo sistema di comprare le donne, che poi lo ritroviamo nella vita sociale di una gran parte dei maschi italiani che si rivolgono alla prostituzione, che cade completamente il tema dell’amore.
L’amore, nel suo aspetto fisico, perde di significato in senso emotivo e diventa semplicemente una moneta di scambio economico.
Perciò il mio “W l’Amore” non è uno slogan “morale”, ma il frutto di una ricerca scientifica che ci dimostra che senza l’amore si muore, esattamente come si muore senza cibo.
Quando penso ai numerosi suicidi di questi tempi, anche di imprenditori che si ritrovano sommersi dai debiti, immagino queste persone che hanno dedicato la vita al lavoro per ritrovarsi con una situazione dove il denaro rappresentava la totalità dell’esistenza, e la sua mancanza ha determinato la loro tragica scelta. Persone che purtroppo hanno perso la dimensione e l’equilibrio degli aspetti della vita, un bene prezioso, in cui il prevalere del dio denaro può uccidere…
Un sentito “Grazie” ai generosi commenti che mi hanno stimolato per scrivere quanto sopra!
“e del resto da quel figlio ha preso le distanze ormai da anni: è dal 1995, ha detto, di non avere contatti con lui, dal giorno del 16esimo compleanno del ragazzo. A troncare i contatti è stato proprio Anders: «Non abbiamo mai vissuto insieme – ha precisato Jens Breivik -, abbiamo avuto solo qualche contatto quando era bambino.”
Queste sono le dichiarazioni del padre di Anders Breivik, l’uomo che in Norvegia ha sterminato una settantina di ragazzi indifesi.
Non sono riuscito ad avere molte notizie della biografia di questo ragazzotto la cui lucida follia ha causato tante vittime.
La madre e la matrigna (ex seconda moglie del marito) si sono nascoste per evitare le domande dei giornalisti.
Sappiamo poco, ma sappiamo per certo che la relazione con il padre era interrotta dall’adolescenza di Anders.
Il padre ha la GIUSTIFICAZIONE pronta: non sento di essere suo padre (!!!)
Eppure è suo padre.
Essere padri richiede un certo impegno. Se lo è mai chiesto il Sig. Jens Breivik ?
Perché poi è possibile che un figlio, pur di farsi notare da suo padre, uccida tanti ragazzi, suoi ex coetanei che magari hanno una gioventù serena, con il sostegno delle loro famiglie, che li mandano fiduciose al campeggio laburista.
Per quanti anni la mente di Anders Breivik ha covato odio e rancore per un padre reale ma assente?
Avrebbe potuto raggiungerlo, chiedergli aiuto? Forse sì. Però, bisogna notare che anche il padre non pensa che avrebbe dovuto rivolgersi a lui prima di agire con la tremenda violenza che tutti conosciamo, ma che avrebbe dovuto suicidarsi piuttosto che uccidere tante persone.
E dice semplicemente che adesso non lo vuole mai più rivedere.
Evidentemente anche quest’uomo fugge dalla realtà e preferisce cancellarla piuttosto che confrontarsi con essa.
Ho letto di complotti contro la Norvegia ed altre ipotesi più o meno fantasiose. Non so, non credo. Ma tutto è possibile in questo mondo ormai incomprensibile. Resta il fatto che a compiere queste azioni è stato un uomo. Manovrato e istigato? Chissà?
Ma è lui che ha guardato in faccia quei ragazzi e ha premuto il grilletto.
La sua storia si interseca tra leggende di Dracula e la Transilvania e lotta contro l’avanzata dell’impero Ottomano.
Anch’egli fu consegnato dal padre Dracul come ostaggio al sultano nel 1444 all’età di 13 anni. Non penso che il giovanissimo Vlad abbia potuto capire e apprezzare il gesto del padre …
Un’altra separazione dal padre nel corso dell’adolescenza che innesta una spirale di violenza inaudita.
Fu educato dai turchi all’arte della guerra e, in mezzo alle storie rocambolesche del 1400, diventò infine Principe di Valacchia.
Riporto un passaggio di Wikipedia per comprendere la brutalità di quest’uomo:
“Dracula apprese questa forma di supplizio (l’impalamento) dai turchi, adattandola poi alle sue più specifiche richieste: creò metodi diversi per impalare i ladri, i guerrieri nemici, gli ambasciatori del Sultano, i traditori ecc.
I ricchi venivano impalati stendendoli più in alto degli altri o facendo ricoprire l’asta d’argento.
Per i mercanti fece incidere delle tacche sull’asta, al fine di aumentare il tempo dell’agonia.
Nella città di Sibiu, nel 1460 Vlad Ţepeş fece impalare 10.000 persone, e cosparse alcuni corpi con miele per attirare ogni tipo di insetto.
Le donne macchiatesi di tradimento nei confronti del marito venivano impalate davanti alla loro casa.
Nel 1459, durante il giorno di san Bartolomeo, a Braşov, Dracula fece invitare a palazzo alcuni mercanti che avevano mostrato odio e disprezzo nei confronti della sua persona. Decise di farli saziare di cibo e, quindi, fece sventrare il primo e obbligò il secondo a mangiare ciò che il collega, ormai senza vita, aveva nello stomaco. L’ultimo mercante venne fatto bollire e la sua carne fu data in pasto ai cani.
Nel 1461 due ambasciatori del Sultano turco Mehmed arrivarono nel palazzo, poiché quella era l’occasione per Vlad III di fare la pace con il sultano Mehmed che era il suo nemico più potente e il cui impero musulmano poteva distruggere la Valacchia senza il minimo sforzo. Quando si prostrarono ai piedi di Vlad III chinarono la testa in segno di rispetto, ma non si vollero togliere il turbante perché rappresentava il simbolo della loro religione. Ma quel gesto fu fatale, perché era un segno di disprezzo per Dracula, che irritato da quel gesto, ordinò di inchiodare il turbante alla testa degli ambasciatori.
Lo stesso Dracula amava assistere all’agonia dei suppliziati, tanto da prendere l’abitudine di banchettare in mezzo alle forche su cui erano gli impalati.
Sempre nel corso di queste ricerche ho trovato un sito dedicato ai serial killer, dove troviamo calendari di serial killer e storie di moltissime persone che hanno commesso numerose atrocità. A giudicare dalla sola esistenza del sito non sono poi rarissimi i cultori dell’omicidio e neanche i malati di mente…
Insomma, per farla breve, possiamo osservare come una grave carenza nel rapporto con il genitore omologo può condurre ad una totale anestesia del sentimento (altrimenti non si spiega la freddezza nell’uccidere e nell’osservare le sofferenze altrui nella più totale indifferenza) e, nelle situazioni peggiori al verificarsi di tremendi delitti.
Detto questo possiamo pertanto anche affermare che queste persone sono certamente colpevoli di orrendi delitti, ma anche vittime della loro malattia, una malattia che purtroppo ha gravissime conseguenze su numerosi innocenti che non hanno alcuna possibilità di scampo.
Ma veniamo adesso al nostro termine di paragone: Silvio Berlusconi.
La grande personalità di Luigi Berlusconi ha inciso profondamente nella vita del fondatore della Fininvest. Per Silvio è stato un genitore, un consigliere, un amico. E fino all’ultimo giorno è stato al suo fianco.
Padre severo, ma affettuoso e poi amico e consigliere, Luigi Berlusconi è una presenza centrale nella vita di Silvio …”
E anche quando Silvio dedica la vittoria del suo Milan al padre leggiamo Silvio che ricorda quando andava con il papà allo stadio (PAG.19):
“E finalmente, la mano nella mano, eccoci là all’entrata dello stadio, l’Arena o San Siro, e io a farmi piccolo piccolo per profittare di un solo biglietto in due”
In questo passaggio vediamo che Silvio, mano nella mano con il papà, confessa ingenuamente di avere appreso da lui l’arte della furbizia. Quel “farsi piccolo piccolo” che gli permette di non pagare il biglietto.
Possiamo chiederci oggi quanti biglietti non ha pagato e non vuole pagare il nostro “buon” Silvio facendosi piccolo piccolo?
E tra questi conti che Silvio non vuole pagare, ci sono morti altrettanto inutili? Morti per incuria? Morti per distrazione? Morti di cui i responsabili vengono coperti? Morti che hanno procurato denaro a chi poi si è dedicato a ricostruire le vite distrutte? Morti che nessuno può imputare al nostro Silvio, di cui neanche lui si sente colpevole.
Stefano Cucchi, per esempio. Quando morì il suo ministro La Russa dichiarò: ” di una cosa sono certo: del comportamento assolutamente corretto da parte dei carabinieri in questa occasione”.
E Berlusconi dov’era? Si faceva piccolo piccolo e non pagava il biglietto.
Quante storie possiamo raccontare dove abbiamo avuto morti anonime, ma Silvio mai nessuna responsabilità, nessuna complicità, niente, mai niente di niente. Ne esce sempre immacolato.
Ma allora dove sta la differenza?
Andres Breivik è una vittima malata che ha ucciso perché non ha trovato altra soluzione alla sua follia.
Silvio Berlusconi ha avuto una relazione forte con suo padre, a quanto afferma lui stesso, e pertanto ha una forte personalità e potrebbe anche scegliere di non uccidere, di non essere complice, di non coprire i misfatti e le morti inutili del nostro paese, ma non lo fa.
Lui si fa piccolo piccolo, ha imparato così a farla franca. Silvio ha la libertà di scelta e sceglie male. Ha tutte le sue responsabilità, ma riesce sempre a nasconderle grazie al suo potere.
Breivik fa tanta rabbia e tanta pena, e comunque si trova in galera. Egli ha ucciso senza pietà, accecato da un delirio.
Berlusconi fa tanta rabbia, ma a me non fa alcuna pena. Fa soltanto orrore.
Egli uccide senza mostrare a nessuno la propria responsabilità, probabilmente neanche a se stesso.
Infatti nessuno lo accusa, a parte qualche parente di povera gente uccisa “dal Fato”.
« Il risultato è di grandissimo interesse politico. La battaglia è stata dura per i grossi interessi in campo »
Oggi è un dirigente d’azienda. E ha scritto un libro in difesa dell’energia nucleare.
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Durante una conversazione, di tanto in tanto ci si tocca il viso, ma all’approssimarsi del tentativo di mentire il numero delle volte in cui avvengono questi toccamenti aumenta in maniera significativa. E tra questi toccamenti autoreferenziali segnaliamo: lo sfregarsi il mento, il grattarsi un sopracciglio, il toccarsi il naso, l’accomodarsi i capelli, e il coprirsi la bocca. In particolare due di queste azioni diventano frequentissime:
* il toccarsi il naso
* il coprirsi la bocca.
Per quanto invece riguarda il toccarsi il naso sembra ci sia una duplice spiegazione:
1.la mano si alza per nascondere “la menzogna” (il mentitore), ma viene deviata da quella parte del cervello che non può permettere che la copertura risulti così evidente; così, trovandosi il naso nelle vicinanze più prossime, la mano allunga il movimento giusto di quel poco, riuscendo nella sua funzione originaria senza svelarsi apertamente;
2.all’approssimarsi della menzogna un lieve aumento di tensione produce piccoli mutamenti fisiologici, alcuni dei quali agiscono sulla sensibilità del rivestimento interno della cavità nasale, provocando una sensazione di leggero (spesso inconsapevole) prurito, inducendo la mano (spesso in modo inconsapevole) a sfregare il naso.
“I tic consistono nell’esecuzione improvvisa ed imperiosa, involontaria ed assurda, di movimenti ripetuti che rappresentano spesso una caricatura di un atto naturale”. Tra i più frequenti vi sono quelli a carico del viso come l’aggrottamento delle sopracciglia, smorfie, sbattere le palpebre, movimenti del mento, senza dimenticare il sollevamento delle spalle o i tic respiratori come il tossicchiare, lo storcere o il soffiare il naso. Normalmente l’esecuzione del tic nervoso rappresenta il raggiungimento di un sollievo subito dopo un forte vissuto di disagio o ansia. Durante tali situazioni, in queste persone sono spesso presenti sensazioni di vergogna o di colpa per affrontare le quali adottano la tattica di scaricare la tensione con una condotta motoria afinalistica.”
“L’uso della modalità di natura economica in luogo della modalità di natura simbiotica riduce pertanto le possibilità espressive della persona allorché, per esempio, sostituisce all’amicizia la seduzione, all’amore l’erotismo, alla fiducia il controllo, all’assunzione di responsabilità l’esercizio del potere. La visione della realtà, non più equilibrata su due versanti, diventa prevalentemente economica. Il concetto stesso di sentimento si perde e si confonde con quello di emozione, in quanto l’investimento affettivo costante e profondo è precluso, e la sola esperienza disponibile è quella della risposta emotiva immediata ed effimera.
Si comprende allora perché mai una tale situazione produca atteggiamenti ripetitivi, rigidi e stereotipati, quelle “strutture di sopravvivenza”, dotate di comportamenti peculiari – cui si fa riferimento nella letteratura scientifica, per descrivere le varie forme di malattia mentale – che consentano di tenere a bada i sentimenti, e tuttavia di continuare a rispondere alle esigenze quotidiane.”
Ho la vaga sensazione che l’illuminazione sulla Via di Damasco che ha convertito il nostro Chicco Testa all’apologia dell’energia nucleare renda parecchi soldi, ma sia alquanto dispendiosa in termini di salute.
Poggiamo i piedi su una terra che ci dà sicurezza o su un filo sospeso nell’aria.
L’equilibrista sceglie di mettersi in una situazione di pericolo per mostrare la sua abilità, mentre noi, talvolta, ci sentiamo sospesi nel vuoto nostro malgrado.
Precarietà, instabilità, paura del futuro sono le parole che l’anno appena concluso ha diffuso sempre di più.
E questo determina le nostre incertezze, il nostro sentirsi appesi a un filo.
Ma ci sono aspetti non sempre espliciti in questo equilibrio precario.
Sembra che nella lotta tra avere o essere di Erich Fromm, la prevalenza dell’avere nella nostra società sembra avanzare incontrastata.
Eppure l’equilibrio non è dato semplicemente dal possesso di beni.
“La salute mentale si fonda sull’equilibrio fra due modalità di rapporto con la realtà circostante: quella di natura economica e quella di natura simbiotica.
La modalità di natura economica mediante l’intelligenza razionale (o ragione, capacità di rilevare e collegare fra loro secondo nessi logici i fenomeni osservati) interviene a stabilire il rapporto psicofisico con il contesto circostante, per garantire la sopravvivenza fisica dell’individuo.
La modalità di natura simbiotica si vale del sentimento (o sensibilità emotiva, capacità di commuoversi, ovvero di sentire e di esprimere i contenuti emotivi, in sè e nella comunicazione con gli altri. Da non confondersi con la capacità di provare determinate emozioni, quali la paura, l’ira, la gratificazione, la soddisfazione) nello sviluppo del rapporto psicoaffettivo con il proprio contesto umano e ambientale, e garantisce la sopravvivenza emotiva dell’individuo.”
Se temiamo per la nostra sopravvivenza fisica, per i nostri bisogni, possiamo ricorrere ai nostri affetti per cercare di compensare le nostre carenze.
In effetti i poveri sfortunati che muoiono magari di freddo in questi giorni nel mondo occidentale, con ogni probabilità non hanno nessuno al mondo a cui chiedere aiuto; cioè la loro povertà, oltre che economica, è anche affettiva.
Se invece temiamo per i nostri sentimenti, li consideriamo inaccettabili, non siamo più in grado di riconoscere l’amore che i genitori provano (o hanno provato) per noi come un sentimento che ci riscalda, che ci rassicura, che ci fortifica, allora per forza di cose ricorriamo ai bisogni materiali, e in tal senso siamo portati a sopravvalutare i nostri bisogni reali e a sentirci deprivati se non godiamo di tutte le comodità che il mondo moderno ci propone.
“Come si manifesta la perdita dell’equilibrio fra la modalità di rapporto di natura economica e quella di natura simbiotica, a danno di quest’ultima?
Principalmente con l’instaurarsi dell’anestesia del sentimentoe, di conseguenza, con l’ipertrofia delle facoltà razionali per compensare le carenze sul versante affettivo.”
Alla luce di queste considerazioni occorre chiedersi se la nostra società moderna non sia di per sé completamente sbilanciata verso il materialismo, ovvero verso quella modalità economica dove sembra che l’unica cosa importante sia il consumo e il possesso di oggetti sempre più potenti da un punto di vista tecnologico.
Diventando sempre maggiori le necessità economiche di una società che sopravvive soltanto grazie a una iperproduzione di oggetti per lo più superflui, le capacità tecniche più importanti, oltre a quelle legate alla produzione industriale, sono proprio le tecniche di persuasione che, grazie a leve di tipo emotivo, riescono a condizionare la nostra percezione del mondo.
Ormai siamo diffidenti verso qualsiasi prodotto che non abbia un sufficiente supporto pubblicitario.
Ciò significa che quando noi compriamo un prodotto paghiamo, oltre al costo della produzione i costi legati alla diffusione del prodotto.
Cioè io compro l’auto X piuttosto che Y perché la comunicazione che ha svolto X è più convincente di quella di Y.
Almeno per me, che non sono altro che un individuo che fa parte di un certo gruppo di individui che costituisce l’obiettivo dei comunicatori di X.
Ma questa necessità di vendere ha bisogno di una carenza affettiva sulla quale costruire i bisogni.
Perciò la società è portata a distruggere i rapporti affettivi, in quanto essi non sono altro che una distrazione dal consumo.
La stessa diffusione del fenomeno dei single, che tendono a diventare più numerosi delle famiglie, ha un bel riscontro nel consumo. Vediamo per esempio che, secondo la Coldiretti, “La spesa mensile per gli alimenti di un single ammonta a circa €312,00/mese mentre quella di una famiglia ammonta a circa €190/mese. Quali sono le ragioni alla base di questa tendenza?”
Ma quali sono le conseguenze di questo disequilibrio? Che risvolti pratici può avere per noi conoscere queste cose?
Possiamo fare molta attenzione a tutto ciò che tende a separarci dai nostri affetti.
Si comincia subito, anche prima della nascita, preparando un parto dove la separazione tra madre e figlio sarà immediata, sempre che si abbia la fortuna di riuscire ad evitare un parto cesareo che esclude la mamma dalla coscienza della nascita.
Poi si continua sabotando l’allattamento al seno e si va avanti raccontando fandonie sugli asili nidi che già a sei mesi aiuterebbero i bambini a socializzare …
E si continua a interferire in ogni modo nel rapporto d’amore tra genitori e figli, grazie agli esperti, sempre più competenti dei genitori, alla scuola dove i genitori sono spesso vissuti come la causa delle difficoltà dei figli e dove il giudizio scolastico pesa come un macigno ed è squalificante nei confronti dell’autorità dei genitori.
Infatti l’autorità dei genitori passa subito in secondo piano, anzi viene annullata in confronto a quella degli insegnanti che hanno il potere di assegnare un voto, un giudizio che assegna ad ogni bambino un suo valore “oggettivo” poiché proviene dall’esterno della famiglia.
In effetti la scuola, così com’è attualmente strutturata, con i suoi giudizi, valuta non soltanto i ragazzi ma anche le loro famiglie, minando le sicurezze e le capacità dei genitori.
In definitiva il nostro equilibrio sembra sempre più appeso ad un filo, ma sta a noi fare attenzione a non farsi abbindolare, ad evitare di pensare che tutto dipenda da ciò che possiamo permetterci e ciò cui dobbiamo rinunciare.
Sta a noi impedire che le esigenze materiali ci costringano ad un eccessivo allontanamento dai nostri affetti, che hanno bisogno di essere coltivati, hanno bisogno di tempo e non soltanto di un paio di scarpe nuove.
Attenzione, cadere dal filo cui siamo appesi fa male!
uomini e donne
amore e morte
spesso s’intersecano
senza spiegazioni apparenti
flirt, corteggiamento, abbordaggio, chat
donne che disdegnano, donne insultate, donne massacrate.
poi si parla dei massacri e di cosa gira per la testa agl uomini che massacrano
amore, non amore.
possesso, gelosia
un fenomeno di follia individuale o una lucida follia che ha messo radici in una società malata?
Non volevo scriverne qui, ma ne ho scritto in giro, tra un commento e l’altro.
Si arriva ieri sera a un tema che potrebbe essere un binario morto, e invece è di estrema importanza: la distanza dal padre.
Che c’entra direte voi?
Eppure per un maschio non esiste sofferenza più grande.
Pensare di conoscere l’uomo che sulla terra ha le caratteristiche più simili alle tue, come nessun altro, e magari disprezzarlo, pensare che egli sia un inetto, un incapace o un malvagio.
Uno che semplicemente non ci vuole bene, non ce ne ha mai voluto.
Quante volte queste fantasie sul proprio padre sono presenti?
Quante volte il padre non si vede, non c’è, è semplicemente sparito.
Quante volte il padre è morto e questa morte è stata vissuta come una cattiveria, una tortura inutile subita magari da un bambino che qualcuno, senza capire e senza sapere, ha cercato di tenere lontano dal dolore, dall’unico sentimento reale in grado di salvare quel piccolo bambino.
Perché il dolore, se vissuto, è una ferita, magari grande, ma che si rimargina.
Mentre il dolore, semplicemente allontanato, diventa come una pustola che non guarisce mai, anzi crea una cancrena che si allarga sempre di più.
E’ semplice ignoranza, purtroppo.
Troppe volte usata a fin di bene, per “proteggere i bambini”.
Queste distanze sono in grado di creare disagi enormi, con anche grandi potenzialità distruttive.
Lo stesso discorso vale per le donne, distanti dalle madri.
Discorso lungo, troppo grande per un piccolo blog.
Basti pensare però che, alle volte, basterebbe un semplice abbraccio, per salvare una vita.
Il ricordo che ho di lui è nitido. Il suo sguardo dritto, la sua stretta di mano solida, la sua voce pacata e sicura.
Il suo passo che procede affiancando la sua grande sensibilità. La sua partecipazione ai tanti eventi drammatici che accompagnano il nostro lavoro.
La cautela e la prudenza indispensabili per incontrare le altre persone. La necessità di essere sempre vigili e, nello stesso tempo, rilassati, attenti e lucidi.
La confidenza che piano piano ho imparato ad avere con i miei sentimenti, accettandoli e riconoscendoli.
Distinguendo tra quelli che mi appartengono e quelli che arrivano dalle situazioni più disparate.
Per me conoscere il Dott. Volpi è stato un privilegio che mi ha permesso di affrontare le tante vicissitudini della mia vita con una luce supplementare, come se un percorso prima buio prendesse piano piano forma.
Tutto questo è avvenuto con semplicità, senza voli pindarici, senza paroloni incomprensibili. Ma toccando con mano ciò che passava sotto il mio naso senza rendermene conto.
La semplicità è l’aspetto forse più caratteristico di Vittorio Volpi. La sua grande capacità di comunicare e mostrare sentimenti preziosi in modo semplice e immediato, ma inequivocabile.
Comprendere che moltissime persone, anche le più umili, hanno la possibilità di utilizzare gli strumenti psicanalitici per stare meglio, avere un beneficio insieme alle persone che amiamo, o a coloro che sentendo una disponibilità emotiva si rivolgono a noi cercando un aiuto.
Questa è la più grande eredità che mi ha lasciato Vittorio. Un’eredità di cui rimarrò sempre grato.
Ciao Vittorio.
TESTIMONIANZE
= = =
Cari colleghi,
mi unisco a voi tutti nel ricordo di Vittorio, del quale ricordo un insegnamento fondamentale: l’ umiltà nell’esercitare la nostra professione e il grande rispetto e attenzione nei confronti della persona in richiesta d’aiuto. Ho ricevuto una lezione di umiltà quando Vittorio mi faceva pulire i gabinetti delle sedi dove svolgevamo i corsi residenziali, e non l’ho mai dimenticata! A lui devo il mio profondo rigore deontologico nei confronti di questa professione che non è forma, ma sostanza di un modo di esercitare un mestiere affascinante, ma anche “rischioso”. Forse è anche per questo che, sebbene non abbia lasciato l’insegnamento, sono riuscita a sentirmi sempre una “psicanalista imprestata alla scuola” come spesso Vittorio mi definiva.
Un caro saluto a tutti
Marina Ferzetti
= = =
–condivido profondamente le parole che accompagnano il ricordo di Marina per me la sua persona rimane un ricordo vivo non solo nella sua immagine fisica con la sua voce diretta, calda e autorevole, ma il mio ricordo si fa carico di odori,profumi, mele biologiche, supervisioni in piena notte,sedute il giorno di Natale,l suo piccolo balcone con le zue piccole piantine e la nostra grande curiosità di sapere di più della sue vita privata e tanto altro ancora ….
Susanna
===
Care colleghe, cari colleghi,
come sapete, oggi 16 ottobre ricorre il 10° anniversario della scomparsa di Vittorio Volpi.
Sentiamo di non dover aggiungere altro a quanto intensamente scritto da Giorgio, Marina e Susanna.
Vorremmo pertanto ricordare ed evidenziare la vitalità degli strumenti che Vittorio Volpi ci ha trasmesso, invitando ciascuno di voi a inviare ai colleghi un messaggio in forma di metafora.
Da parte nostra trovate in allegato un racconto dal titolo “La Leggenda del Bosco Incantato”.
Un caro saluto a tutti
Laura Stellatelli e Marco Fiorini
Ciao a tutti.
Sono Stefano: non voglio dire cose già da me dette su Vittorio e di come
l’incontro con lui ha cambiato la mia vita.
Posso aggiungere però che tale incontro non è stato solo quello con
una persona eccezionale, ma soprattutto è stato l’incontro
con quella parte di me più nascosta e migliore, che mi
ha restituito la pienezza della mia persona e che mi ha permesso di accettare
anche gli aspetti più critici e problematici di me stesso.
Ciao a tutti, ciao Vittorio.
Stefano De Luca
===
Ciao a tutti,
Vorrei fare anche io la mia parte nel ricordare il dott. Volpi portando alcune cose che ora rammento con il sorriso sulle labbra. Partendo dal ricordo di Giorgio Mancuso che parla della stretta di mano, credo di essere stato uno degli ultimi a potergliela stringere, perche negli ultimi anni Vittorio non poteva più dare la mano visto che aveva delle forti screpolature e nonostante questo ogni incontro con lui non ti lasciava certamente indifferente. Ricordo altre cose buffe come le sue camice a quadrettoni, di una semplicità disarmante, il suo zainetto con cui ripartiva dopo aver chiuso lo studio e mi superava in corsa dopo aver terminato la mia seduta con papà; lo studio che era sommerso di carta e le sedie di legno a dispetto di tutta la formalità e la facciata con cui ci poniamo verso il mondo esterno. Vittorio mi ha fatto innamorare del mio lavoro, insegnandomi l’impegno e dedizione verso i nostri pazienti, che lui una volta ha riassunto con la frase: “se ami veramente i tuoi pazienti, spediscili tra le braccia del loro genitore”. Le gite in montagna per fare ricerca, le supervisioni kilometriche, la visione di alcuni film “allucinanti” nel cinema di via de amicis, le ultime giornate di studio che mi hanno permesso di scrivere relazioni che sono state poi pubblicate. Sicuramente l’ho incontrato in uno dei suoi periodi maggiormente prolifici e quindi ho potuto imparare tanto dalla sua esperienza, tante volte mi ha fatto arrabbiare perché mi sembrava di una disorganizzazione pazzesca (come nell’organizzazione delle giornate di studio), ma molte sue frasi sono rimaste come delle pietre miliari e si sono pian piano sedimentate nel mio cuore, nel mio modo di vivere e sentire la professione e i rapporti umani.
non ho mai più trovato in altre realtà lavorative la stessa dedizione e impegno o per meglio dire qualità nell’aiutare le persone sofferenti, per quanto abbia fatto altri percorsi formativi che mi hanno reso un pò più eclettico, sono sempre tornato alle radici, perché quanto mi ha trasmesso ha un valore di unicità irripetibili.
Ti saluto Vittorio, e un saluto anche a tutti i colleghi con l’augurio che si possa proseguire nel diffondere il suo messaggio.
Fabrizio
===
Carissimi Colleghi, con un po’ di ritardo inviamo il nostro contributo in
ricordo di Vittorio Volpi, con la speranza che presto si possa condividere
e rendere visibile lo stato “dell’ arte”, trasformando il freddo blocco e
la fatica a comunicare in qualcosa di più fluido e caldo …
Un saluto a tutti voi.
Associazione A.st.ri.d (Simona Carlevarini, Maria Casiraghi, Carmen
Greco,Giovanni Ponzoni, Elena Rovagnati).
A Giorgio Mancuso,che ringrazio per avermi dato la possibilità di ricordare il dott Volpi, nonchè a tutti i colleghi.
Oggi, 16 ottobre, ricorrendo il decimo anniversario della morte del dott Volpi, voglio ricordarlo nel periodo della malattia. In quel periodo che il dott Volpi affrontò con umiltà, pazienza e coraggio. A testa alta e con grande dignità.
Lui che era l’uomo della parola fu ridotto dalla malattia al silenzio.
Lui che era l’uomo dell’azione si sentì costretto all’impotenza.
Lui che aveva conosciuto la fatica, la passione e il fervore della ricerca scientifica, ma anche la soddisfazione per i risultati operativi conseguiti, si vedeva finito. Obbligato a fare i conti con una condizione di apparente fallimento.
Io però, che in quel periodo mi recavo quasi quotidianamente a dettargli delle poesie al computer affinché eglirileggendole, potesse riprendere l’uso della parola, ebbi l’impressione che, proprio nell’accettazione della propria dolorosa realtà, il dottor Volpi desse prova della sua grandezza d’animo.
La sofferenza, infatti, lungi dal domarlo-continuòa presenziare alle sedute condotte dalla dott.ssa Camana, ed era ancora lui l’analista, anche se parlava lei- favorì in lui, allenandolo alla pazienza, un’ulteriore maturazione umana. Fu l’occasione di un processo di intima purificazione e quindi di una profonda crescita interna.
Di un’esperienza che lo condusse, a mio avviso, a non temere la morte. A considerarla, anziché un’angosciante visitatrice, un’amica attesa con gioia, in quanto la stessa, invece di fargli del male, lo avrebbe introdotto in un mondo in cui ogni lacrima viene asciugata. In cui si sarebbe compiuta la di lui piena realizzazione.
Proprio perché mi sembrò di intuire tutto ciò, diedi da leggere al dott Volpi, nella speranza che lo confortasse, la seguente preghiera:
“Non voglio pregare d’essere protetto dai pericoli,ma di sfidarli impavido.
Non voglio implorare alleviamento di pena,ma amore per vincerla.
Non voglio cercare alleati nella battaglia della vita,ma il mio rinvigorimento.
Non voglio gemere nell’ansioso timore di non salvarmi,ma spero di avere pazienza per ottenere la mia redenzione.
Concedimi di non essere codardo sentendo la tua misericordia soltanto nel mio successo,ma di riconoscere il soccorso della tua mano anche nella mia sconfitta”.
A distanza di tanti anni voglio celebrarne quindi l’esempio e l’insegnamento. Voglio rendergli omaggio ed esprimergli ancora una volta la mia riconoscenza, giacchè,se da tanti anni vivo costantemente unita all’amore della mia mamma, lo devo a lui che, se fu per me strumento di salvezza, mi ha consentito-e consente- di essere a mia volta strumento di salvezza per tante persone che ricorrono al mio aiuto.
Maria Grazia Palestra, Como 16.10. 2008
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16 ottobre 1998 Il coraggio del cambiamento.
A dieci anni dalla sua morte,fra i ricordi personali dominano ancora quelli dei suoi ultimi quaranta giorni su questa terra.
Affiancandolo nel lavoro,speravo,con altri operatori,che potesse recuperare la salute e restare qui.
Fu la sua estrema lezione di coraggio e di amore per la vita,che spero di non dimenticare mai.
Poi c’è il ricordo di tutti i giorni, nel lavoro,ove ritrovo ciò che egli insegnò a ritenere importante:
la possibilità di approfondire oltre misura la ricerca nel campo dell’identità personale,
gli strumenti che mise a punto,
i risultati che verificò e che i suoi allievi possono continuare a verificare,
i benefici che ne ebbero tante persone in difficoltà,e che potranno avere,tanti altri,oggi e in futuro,avvalendosi del rapporto col proprio genitore omologo.
A chi l’ha conosciuto potrebbe dispiacere che egli non abbia ricevuto, in vita,un riconoscimento dalla comunità scientifica adeguato all’entità delle sue scoperte,che pure condivise e comunicò con tutti i mezzi possibili. Mi rendo conto che ciò avviene spesso,in ogni campo di ricerca, quando qualcosa di nuovo anticipa ciò che poi diverrà evidente.Allora ripenso alla prospettiva in cui egli ne parlava:”Anche se un solo bambino ne avrà beneficio,ne sarà valsa la pena”.
Dato che sono già molti,bambini e adulti,che ne hanno beneficiato,anche adesso “ne vale la pena”.
Perciò la mia gratitudine personale,non solo per avermi introdotto a un lavoro che non smette di entusiasmarmi,ma,ancora di più,per avermi avviato a riscoprire ogni giorno la fiducia nelle potenzialità del rapporto con mia madre,si unisce idealmente alla ritrovata fiducia in sé di coloro che ricevono conferma d’identità dal rapporto col loro genitore omologo. Sia chi era stato colpito dalla malattia psichica endogena,sia chi aveva conosciuto la malattia psichica esogena.
Speriamo dunque,come suoi allievi,di ricordarlo,e farlo ricordare,in continuità con lo slancio che egli potè imprimere alla ricerca scientifica per la promozione della salute mentale.
Accludo il profilo biografico tratto dagli atti delle Giornate di Studio del 1997 e 1998,di prossima pubblicazione presso Analisi Psicologica,a cura del Centro Italiano di Ricerca Scientifica Operativa nella Psicanalisi e nell’Educazione.
Giovanna Camana 16 ottobre 2008
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(Dott Vittorio Volpi. Nota biografica a cura del C.I.R.S.O.P.E.
Da”La causa della malattia psichica nei bambini e negli adolescenti:come si previene ,come si cura,come si guarisce”,atti delle giornate di studio del 6,7,8,dicembre 1997Milano,di prossima pubblicazione)
Vittorio Volpi
Nato a Milano l’1-11-1936,ove risiede fino alla scomparsa il 16-10-1998,laureato in lettere presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore e specializzato in Psicologia presso lo stesso Ateneo,a seguito dell’analisi personale esercita l’attività di psicoanalista.
Studioso e ricercatore attento e appassionato,pur giovandosi delle supervisioni più prestigiose del momento,e apprendendo l’approccio sistemico direttamente dalla dott.Selvini Palazzoli,persegue una costante ricerca intorno al problema della sofferenza psichica,con particolare riferimento ai disturbi molto gravi,per i quali la psicoanalisi risulta inadeguata,e attua perciò una rigorosa,pluriennale,osservazione, sia sui versanti psicosociali che intrapsichici,elaborando così,dal punto di vista della psicoanalisi,insieme ad alcuni altri ricercatori,i dati che discipline e fenomeni culturali emergenti propongono in quel periodo storico.
Nasce così,nel 1975,il Centro Studi di Psicoterapia e Psicodinamica dell’Educazione,che prenderà,molti anni più tardi,il nome di Centro Italiano di Ricerca Scientifica Operativa nella Psicanalisi e nell’Educazione.
Alle molte attività rivolte alla cura dei disturbi psichici si affianca una continua ricerca operativa rivolta alla promozione della salute mentale,applicando e approfondendo le intuizioni iniziali dello scienziato sulla genesi ed evoluzione dei disturbi,in ordine al problema centrale dell’identità personale.
L’osservazione sulle due modalità di rapporto, compresenti e disgiunte,presenti in ogni aspetto della vita personale e sociale,chiamate modalità simbiotica e modalità economica, e del loro interagire nella vita di ciascuno,consente di mettere a punto un approfondimento sui rapporti primari che sono all’origine affettiva e psicologica dell’essere umano,e mettere in luce l’importanza del rapporto con il genitore omologo,che diviene,nella pratica clinica del Centro,il fulcro del trattamento.
Mettendo al centro del setting un rapporto vivente anziché un soggetto singolo,(il genitore omologo in persona,quando vivente,è presente nella seduta) l’applicazione degli strumenti operativi della psicoanalisi è anch’essa trasformata,e così pure la formazione degli operatori,ai quali si chiede di fare la medesima verifica del rapporto col proprio genitore omologo e di imparare ad applicare i consueti strumenti di lavoro al nuovo contesto.
Anche l’analisi in coppia,(che ha le medesime caratteristiche, digiungere ad avvalersi,ciascuno dei partner, del rapporto col proprio genitore omologo,procedendo in questo cammino insieme al proprio partner),già messa a punto per i trattamenti degli adulti in coppia,viene applicata alla formazione.
Con la Scuola di Psicanalisi,annessa al Centro,(e in seguito ripresa in più gruppi ad opera di vari allievi del dott.Volpi),la formazione di numerosi operatori consente di esplorare i vari aspetti del lavoro in équipe,e prendere in carico casi molto complessi.
Il rigoroso approfondimento dei principi finora verificati porta ad un’applicazione metodica e coerente, nel campo clinico,riguardo ai genitori protagonisti della cura clinica dei propri figli ammalati.
A questo sviluppo del metodo si stava dedicando il dott.Volpi,quando l’ha colto la morte.
All’approfondimento in campo clinico si è sempre affiancata la ricerca operativa nel campo dell’educazione, della prevenzione e della promozione della salute mentale.
La rivista Analisi Psicologica,edita dal Centro e da lui diretta,è stata il principale veicolo di divulgazione,insieme a Corsi e Giornate di studio,dei risultati della ricerca.
Due Cooperative sociali,fra i vari gruppi ed organismi sorti in questo ambito,sono sorte con l’intento di portare i benefici di questi tipi di intervento agli utenti dei vari servizi istituzionali preposti al recupero e alla promozione della salute mentale.
Bibliografia:
Autorità e socializzazione-Analisi Psicologica 1978
Volpi V.“Manuale di psicanalisi dell’età evolutiva”, Milano, Analisi Psicologica, 1984.
Volpi V.“Manuale di psicanalisi del rapporto di coppia”, Milano, Analisi Psicologica, 1988
Volpi V.“Bambini e adolescenti che soffrono. Il disagio psichico in età evolutiva”, a cura di V. Volpi, Padova, Sapere, 1997.
“Rapporto di coppia e salute mentale dei figli”, atti delle giornate di studio, Milano 7 e 8 Dicembre 1996, Milano, Analisi Psicologica, 1998, a cura di V. Volpi
Sembra che la psicanalisi sia una scienza per pochi addetti ai lavori, specialisti super specializzati, strizzacervelli capaci di interpretare i sogni, di indovinare i pensieri del prossimo, se non proprio leggerli e, capaci di previsioni al limite della magia.
Per la gente comune chi si rivolge a uno psicologo o a uno psicanalista è
MATTO
e chi lo fa evita di raccontarlo in giro, per evitare che si pensi male di lui!
A scuola
si impara la matematica per saper far di conto
si impara a leggere e scrivere per poter accedere alle informazioni e comunicare
si impara una lingua straniera per comunicare con tutto il mondo
si impara le geografia per orientarci nel mondo
si impara la storia per sapere qualcosa delle nostre origini
si impara il disegno per poter esprimersi in forme diverse
si impara la chimica, la biologia, la fisica
si riesce perfino a fare un po’ di sport per mantenersi in forma
però
non si riesce a imparare niente riguardo a:
il linguaggio del corpo, le induzioni emotive (ovvero come si partecipa emotivamente ai sentimenti degli altri) e relative conseguenze
gli aspetti salutari del rapporto d’amore primario (tra padre e figlio e madre e figlia)
le interferenze sociali nei rapporti primari come principali cause di disagio psichico
lo sviluppo sessuale nell’adolescenza e relativi aspetti dell’evoluzione emotiva
il contatto fisico, come fonte di benessere
Ecco che di queste cose si occupa la psicanalisi, e queste cose fanno parte della nostra vita quotidiana, ma nessuno ci aiuta a gestirle.
Possiamo avere un po’ di fortuna, se il corso naturale delle relazioni familiari prevale sui tanti aspetti di natura economica che condizionano oggi la vita delle famiglie.
Un tempo era importante per l’uomo avere una forte muscolatura, che gli garantisse di poter effettuare lavori e mantenere alte le sue probabilità di sopravvivenza.
Oggi la struttura muscolare riveste ormai ben poca importanza nel successo delle nostre strategie di sopravvivenza. Abbiamo maggior necessità di una buona automobile, di computer e telefoni cellulari e di tutti i macchinari che ci facilitano la vita e ci permettono di essere produttivi.
Non interessa più produrre qualcosa che sia davvero utile, ma è più importante produrre qualcosa che si vende facilmente …
Nascita, allattamento, crescita, socializzazione, vita scolastica, vita di coppia, rapporti tra genitori e figli …
Tutte queste cose non hanno niente a che vedere con le cose che si imparano a scuola!
Non c’è nessuno spazio per questo.
E’ più importante sapere la distanza tra la terra e la luna, nozione che si ricorda per circa una settimana, giusto per poterla ripetere all’interrogazione del giorno dopo, che non capire cosa ci fa stare male in un momento difficile, o quantomeno acquisire qualche strumento per poter capire meglio.
La psicanalisi aiuta nella vita quotidiana. Tutti coloro che hanno una vita sociale potrebbero avere molti benefici utilizzando le conoscenze scientifiche acquisite dopo molti anni di ricerche.
Certo, non tutti devono diventare psicanalisti, ma se ci fosse una cultura di base ben più preparata in questo campo, piano piano non avremmo neanche più bisogno degli psicanalisti.
Occorre una volontà, e una scienza psicologica che concordi su almeno poche cose fondamentali.
Invece purtroppo abbiamo un numero esuberante di psicologi, dove ognuno cura il suo orticello, e troppo spesso un metodo è in completo contrasto con l’altro, offrendo così una immagine della scienza psicologica assai sfocata, imprecisa, impalpabile.
Penso che se uno psicologo afferma qualcosa possiamo trovarne probabilmente un altro che afferma l’esatto contrario …
Risultato: la psicologia sembra una scienza per ciarlatani… e non le si dà lo spazio di cui la nostra società avrebbe bisogno.
Vittorio Volpi ha innovato il lavoro dello psicanalista in modo eccezionale.
Purtroppo molti psicologi hanno il brutto vizio di proporsi ai loro clienti come genitori alternativi, e come alternativa ai genitori, aumentando la distanza tra genitori e figli già causa di tanto disagio.
Il Dott. Volpi ha rifiutato di interporsi tra figli e genitori, iniziando a proporre sedute congiunte con il genitore omologo (dello stesso sesso) e proponendo l’abbraccio come medicina insostituibile per il ripristino dell’identità del figlio.
Propongo qui l’articolo fondamentale che riassume ed è alla base del suo lavoro.
Io ho avuto la fortuna di avere imparato moltissimo da lui.
Questo articolo, pur essendo datato e incompleto, è una lucida descrizione della situazione spesso paradossale in cui si trova l’istituzione scolastica. Il file è in PDF, l’articolo è incompleto e purtroppo ha una qualità non eccellente. Tuttavia è ben leggibile e io lo considero fondamentale per comprendere meglio la scuola…
Ed. Analisi Psicologica c/o C.I.R.S.O.P.E. (I edizione marzo 1971)
Una nuova visione dello sviluppo dell’identità personale, sviluppata negli anni di lavoro di Vittorio Volpi, psicanalista. L’analisi dell’importanza del rapporto madre-figlia e padre-figlio e il suo valore fondante per un sano e armonico sviluppo dell’identità personale. La teoria in questo libro viene costantemente affiancata da esempi concreti, che sono in grado di far comprendere a fondo i risvolti emotivi e l’importanza del rapporto con il ‘genitore omologo’ (dello stesso sesso).
Vittorio Volpi
“Manuale di psicanalisi del rapporto di coppia.”
Ed. Analisi Psicologica c/o C.I.R.S.O.P.E. (II edizione settembre 1988)
I processi emotivi inconsci e le interrelazioni con l’ambiente (rapporti familiari, lavoro..) che caratterizzano la nascita e la crescita del rapporto di coppia. L’analisi teorica viene affiancata da esemplificazioni cliniche, per meglio illustrare i concetti teorici sviluppati nel lungo lavoro clinico con le coppie da Vittorio Volpi, psicanalista.
Vittorio Volpi a cura di
“Bambini e adolescenti che soffrono”
Edizione Sapere, Padova (1997)
Lo sviluppo della patologia psichica nei bambini e negli adolescenti. La teoria dello sviluppo della psicosi come grave ‘frattura’ nei rapporti madre-figlia e padre-figlio, causata da ‘interferenze’ che hanno interrotto o gravemente disturbato la comunicazione all’interno di questi rapporti, viene utilizzata come strumento di lavoro per superare il disagio psichico. Il libro fornisce anche una nuova lettura di come possono essere ‘interpretati’ i sentimenti che si sviluppano negli operatori a contatto con il grave disagio psichico. La parte teorica è seguita da esperienze professionali.
Vittorio Volpi a cura di
“Rapporto di coppia e salute mentale dei figli.”
Analisi Psicologica (I edizione aprile 1998)
Una lettura psicanalitica delle influenze del mondo emotivo dei figli sulla coppia genitoriale.
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