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La depressione come molla per il cambiamento

Sembra che la depressione sia diventata la malattia del secolo. Miete moltissime vittime e sembra che 3,5 milioni di italiani ne siano affetti.

Come tutti i fenomeni di massa, attira l’attenzione di investimenti senza scrupoli e l’utilizzo di psicofarmaci viene spesso indicato come soluzione principale. Ancora oggi, a volte, si ricorre perfino all’elettroshock.

È molto curioso come viviamo in una società che da una parte, a parole, combatte l’uso delle droghe, dall’altro le somministra allegramente ai suoi cittadini più fragili chiamandole semplicemente con un nome diverso: psicofarmaci.

Eppure la depressione nasconde delle risorse impensabili. Come potremmo pensare al cambiamento senza attraversare un periodo di depressione?

Essa è causata fondamentalmente dalla perdita di un punto di riferimento. Una nave in alto mare, senza fari e senza stelle a cui poter fare riferimento è dispersa nel nulla più assoluto.

Una condizione simile è quella di coloro che hanno perso i loro punti di riferimento sociali, primo fra tutti il genitore omologo (dello stesso sesso) che è la persona più simile ad ognuno di noi esistente sul pianeta.

La nostra società inizia fin dall’inizio a sabotare questo rapporto, poiché più è saldo il rapporto con il genitore, minore sarà la fragilità del soggetto.

Un soggetto fragile e disorientato è maggiormente succube delle false offerte della nostra società.

I falsi bisogni ci ossessionano quotidianamente. Basta vedere le offerte pubblicitarie: auto, cosmetici per renderci sempre più esteticamente accettabili in base a parametri sociali arbitrari, prodotti per cancellare segni di invecchiamento, gioielli, alcoolici, pubblicità più o meno occulte di tabacco, farmaci dei più svariati, alimentari spesso poco sani, cibo per animali (magari accanto alla richiesta di offerte per la fame nel mondo…) e via dicendo.

I genitori pertanto si trovano a dover fare i conti con richieste spesso insulse, ma che permettono ai figli, fin dalla più tenera età, di essere parte di una società dove chi non POSSIEDE certi status symbol è tagliato fuori da una certa socialità. O almeno questo è ciò che può apparire, soprattutto ai giovani.

Anche la scuola fa la sua parte. I ragazzi entrano in questa istituzione e sono subito giudicati e inquadrati a secondo dei loro “risultati scolastici”, che possono sembrare “oggettivi e imparziali”, ma non tengono assolutamente conto delle potenzialità individuali di ogni soggetto, delle proprie difficoltà, del contesto sociale e familiare di ognuno.

Così la scuola diventa un “agente di giudizio”, che si frappone tra genitori e figli, squalificando spesso i genitori su cui ricadono le accuse del corpo insegnante per i presunti limiti scolastici degli alunni.

La scuola giudica genitori e figli tutti insieme, e separa affettivamente ed emotivamente le famiglie, creando spesso inutili colpevolizzazioni.

Il trattamento del genitore nei confronti dei figli sarà diverso a seconda dei risultati scolastici.

“Avrai il tal premio, ma soltanto se sarai promosso.” È un classico.

Ciò comporta due distorsioni: l’amore si misura in beni materiali e, inoltre, la qualità di amore dipende dalla valutazione di estranei al rapporto primario genitore-figli.

Si potrebbe continuare a lungo sulle cause della depressione e sul contesto nel quale si sviluppa.

La depressione è una malattia contagiosa e spesso è possibile svilupparla a causa di un contagio che proviene da qualcuno che, a volte, non si riesce neanche ad individuare. Si parla, in questo caso di depressione esogena, cioè proveniente dall’esterno. In altri casi la depressione endogena ha a che fare con la propria storia personale. Già distinguere queste differenti depressioni non è una impresa semplice.

In definitiva possiamo affermare che la depressione è un segnale importante che prelude un cambiamento. Infatti ben pochi avranno voglia di cambiare una situazione soddisfacente, mentre la depressione può funzionare come un campanello di allarme che permette di ritrovare dentro di sé e nelle proprie relazioni nuove energie in grado di modificare una situazione ritenuta spiacevole.

Non sempre è un percorso semplice, spesso abbiamo bisogno di farci aiutare da persone competenti, ma la depressione può essere la molla che ci lancia verso nuovi percorsi ben più gratificanti.

Perciò non va accolta sempre come una disgrazia, ma anche come un buon trampolino per una nuova partenza.

Gelmini: sciocca e bugiarda!

La Gelmini ha una grande capacità di sputtanarsi da sola, questa dote le va riconosciuta!

In una intervista uscita oggi su Repubblica dichiara:

“Da quattro anni non rendete pubblici i dati sui bocciati.
“Li ho visti ieri, tra una settimana saprete tutto”.

Ci risultano in diminuzione.
“A me sembrano in crescita, ma su due piedi non riesco a darle conferma.

Non mi sono mai compiaciuta dell’aumento dei bocciati, non sono così sciocca”.

Eppure leggiamo il comunicato stampa del 10 Agosto 2010 del MIUR:

“Scuola, confermata la linea del rigore
Aumentano i non ammessi alla Maturità

I dati ufficiali sui risultati degli esami di Stato e degli esami conclusivi del I ciclo pubblicati sul sito del Ministero confermano ampiamente la linea del rigore emersa dai primi dati comunicati dal Miur. Sia per quanto riguarda l’esame di maturità, sia per l’esame di terza media emerge infatti un sensibile aumento degli studenti non ammessi alle prove d’esame.”

Il comunicato sembra proprio denso di trionfalismo, un inno alla gioia per l’aumento dei bocciati…

Gelmini perciò si è data della sciocca da sola e i fatti la mostrano come grande bugiarda.

Non è una novità, ma soltanto una conferma!

E come poteva essere diversamente, appartenendo alla corte del grande Silvio, che sempre eccelle nell’arte della bugia?

Restiamo in attesa dei dati ufficiali entro una settimana … cioè entro il 16 Ottobre!

La pazienza non ci manca…

RETTIFICA PREVENTIVA: la Gelmini non è sicuramente una sciocca, saranno quelli dell Ufficio Stampa che non la interpretano bene …

N.B. Grazie a Il blog di Roberta Lerici dove ho trovato la foto di Maria Stellina e la via per il comunicato del MIUR

 

Grazie Gelmini: le scuole come centri sociali

Il pugno di ferro della Gelmini, l’aumento della severità ha sortito l’effetto contrario.

La Gelmini nasconde anche i dati che ci danno un calo dei bocciati durante il suo regno, evidenziando un altro grande merito del suo governo: la trasparenza
In effetti gli insegnanti, di fronte all’autoritarismo inutile e controproducente di Maria Stella, si sono alleati con gli studenti nel rifiuto delle indicazioni ministeriali e hanno di fatto allargato i loro giudizi con la loro benevolenza.
Meno male, aggiungo io. Almeno il fattore umano a scuola ha ancora una valenza.
Dando per scontato che sono ben poche le competenze che si riescono ad acquisire a scuola, ci si chiede che valore possa mai avere un aumento delle bocciature.
E’ ben raro quel ministro che si vanta del mancato conseguimento dei risultati, ma siccome siamo in Italia questo ci tocca.
Tuttavia la Ministra ha soltanto tagliato i finanziamenti ma non è riuscita a tagliare gli studenti.
Almeno la scuola ritrova così la sua principale funzione di socializzazione: un bel centro sociale dove i nostri ragazzi imparano un sacco di cose sulla vita.
Imaparano a fumare, a farsi le canne, le gioie del sesso e la musica buona.
Alla faccia della Gelmini.
Che rimanga nel suo tunnel!

Disegno di Andrea Pazienza

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Scuola? Buttiamola via!

In questi giorni seguo ragazze che sono sotto esame: terza media e maturità.

Le storie che raccontano sono incredibili.

Ne estraggo qualcuna, a caso.

Esame di matematica scritto alle medie. Il prof, con  il quale non si è fatto praticamente nulla durante l’anno, aiuta tutti a fare il compito mentre il commissario legge tranquillamente il giornale.

Alle superiori il compito proposto non ha alcuna attinenza con il programma svolto nel corso dell’anno e i docenti, comprendendo il disagio degli studenti, aiutano in tutti i modi.

Il commissario sta fuori dall’aula, leggendo il giornale, bevendo caffè e fumando sigarette. E’ stato sentito dire “Adesso voglio proprio vedere che mi fa la Gelmini!”

La sensazione generale è che il Ministero abbia voluto proporre prove difficili nella speranza di stangare un po’ di studenti, ottenendo però l’effetto contrario, cioè un’alleanza tra docenti e studenti al fine di superare tranquillamente una prova d’esame che tutti (o quasi) considerano una semplice formalità.

Qualche considerazione è doverosa.

Tutta questa farsa che attinenza ha con la realtà? Potranno sempre i nostri ragazzi trovare una via per sgattaiolare i problemi, per superarli senza impegnarsi?

Questa è solo la domanda più banale, una domanda che sottintende un’accettazione del sistema scuola come sensato, nel suo essere luogo di apprendimento e di valutazione, dove ogni azione tende alla conquista del voto, unica meta del percorso scolastico.

Ma si insegna anche l’inutilità dell’impegno, la falsità. Si impara a non avere fiducia nelle proprie capacità, poiché magari qualcuno ha speso un intero anno scolastico per acquisire alcune abilità inutilmente, visto che gli viene richiesto tutt’altro.

Ma non ha forse visto bene Giovanni Papini, quando scriveva un breve saggio nel 1914: Chiudiamo le scuole.

Libretto ritrovato oggi rovistando in fondo ad un vecchio cassetto dimenticato.

“Diffidiamo de’ casamenti di grande superficie, dove molti uomini si rinchiudono o vengono rinchiusi. Prigioni, Chiese, Ospedali, Parlamenti, Caserme, Manicomi, Scuole, Ministeri, Conventi. Codeste pubbliche architetture son di malaugurio: segni irrecusabili di malattie generali. Difesa contro il delitto – contro la morte – contro lo straniero – contro il disordine – contro la solitudine – contro tutto ciò che impaurisce l’uomo abbandonato a sé stesso: il vigliacco eterno che fabbrica leggi e società come bastioni e trincee alla sua tremebondaggine.”

(…)

Noi sappiamo con assoluta certezza che la civiltà non è venuta fuor dalle scuole e che le scuole intristiscono gli animi invece di sollevarli e che le scoperte decisive della scienza non son nate dall’insegnamento pubblico ma dalla ricerca solitaria disinteressata e magari pazzesca di uomini che spesso non erano stati a scuola o non v’insegnavano. Sappiamo ugualmente e con la stessa certezza che la scuola, essendo per sua necessità formale e tradizionalista, ha contribuito spessissimo a pietrificare il sapere e a ritardare con testardi ostruzionismi le più urgenti rivoluzioni e riforme intellettuali.

(…)

Essa non è, per sua natura, una creazione, un’opera spirituale ma un semplice organismo e strumento pratico. Non inventa le conoscenze ma si vanta di trasmetterle. E non adempie bene neppure a quest’ultimo ufficio – perché le trasmette male o trasmettendole impedisce il più delle volte, disseccando e storcendo i cervelli ricevitori, il formarsi di altre conoscenze nuove e migliori.
Le scuole, dunque, non son altro che reclusori per minorenni istruiti per soddisfare a bisogni pratici e prettamente borghesi.
Quali?
Per i genitori, nei primi anni, sono il mezzo più decente per levarsi di casa i figliuoli che danno noia. Più tardi entra in ballo il pensiero dominante della “posizione” e della “carriera”.
Per i maestri c’è soprattutto la ragione di guadagnarsi pane, carne e vestiti con una professione ritenuta “nobile” e che offre, in più, tre mesi di vacanza l’anno e qualche piccola beneficiata di vanità. Aggiungete poi a questo la sadica voluttà di potere annoiare, intimorire e tormentare impunemente, in capo alla vita, qualche migliaio di bambini o di giovani.
Lo Stato mantiene le scuole perché i padri di famiglia le vogliono e perché lui stesso, avendo bisogno tutti gli anni di qualche battaglione di impiegati, preferisce tirarseli su a modo suo e sceglierli sulla fede di certificati da lui concessi senza noie supplementari di vagliature più faticose.”

Potete leggere tutto il brano QUI, scaricandolo.

Sono poche brevi pagine, ma ancora decisamente attuali.

Potremmo davvero pensare a soluzioni totalmente diverse a questa esperienza che senza ombra di dubbio sembra essere più dannosa che utile.

O no?

🙂

Equilibrio precario

Abbiamo bisogno di equilibrio, sempre.

Poggiamo i piedi su una terra che ci dà sicurezza o su un filo sospeso nell’aria.

L’equilibrista sceglie di mettersi in una situazione di pericolo per mostrare la sua abilità, mentre noi, talvolta, ci sentiamo sospesi nel vuoto nostro malgrado.

Precarietà, instabilità, paura del futuro sono le parole che l’anno appena concluso ha diffuso sempre di più.

E questo determina le nostre incertezze, il nostro sentirsi appesi a un filo.

Ma ci sono aspetti non sempre espliciti in questo equilibrio precario.

Sembra che nella lotta tra avere o essere di Erich Fromm, la prevalenza dell’avere nella nostra società sembra avanzare incontrastata.

Eppure l’equilibrio non è dato semplicemente dal possesso di beni.

Vittorio Volpi, psicanalista, scriveva:

“La salute mentale si fonda sull’equilibrio fra due modalità di rapporto con la realtà circostante: quella di natura economica e quella di natura simbiotica.

La modalità di natura economica mediante l’intelligenza razionale (o ragione, capacità di rilevare e collegare fra loro secondo nessi logici i fenomeni osservati) interviene a stabilire il rapporto psicofisico con il contesto circostante, per garantire la sopravvivenza fisica dell’individuo.

La modalità di natura simbiotica si vale del sentimento (o sensibilità emotiva, capacità di commuoversi, ovvero di sentire e di esprimere i contenuti emotivi, in sè e nella comunicazione con gli altri. Da non confondersi con la capacità di provare determinate emozioni, quali la paura, l’ira, la gratificazione, la soddisfazione) nello sviluppo del rapporto psicoaffettivo con il proprio contesto umano e ambientale, e garantisce la sopravvivenza emotiva dell’individuo.”

(Vai all’articolo per approfondire)

Da queste righe si deduce che:

Se temiamo per la nostra sopravvivenza fisica, per i nostri bisogni, possiamo ricorrere ai nostri affetti per cercare di compensare le nostre carenze.

In effetti i poveri sfortunati che muoiono magari di freddo in questi giorni nel mondo occidentale, con ogni probabilità non hanno nessuno al mondo a cui chiedere aiuto; cioè la loro povertà, oltre che economica, è anche affettiva.

Se invece temiamo per i nostri sentimenti, li consideriamo inaccettabili, non siamo più in grado di riconoscere l’amore che i genitori provano (o hanno provato) per noi come un sentimento che ci riscalda, che ci rassicura, che ci fortifica, allora per forza di cose ricorriamo ai bisogni materiali, e in tal senso siamo portati a sopravvalutare i nostri bisogni reali e a sentirci deprivati se non godiamo di tutte le comodità che il mondo moderno ci propone.

Scriveva ancora Vittorio Volpi:

“Come si manifesta la perdita dell’equilibrio fra la modalità di rapporto di natura economica e quella di natura simbiotica, a danno di quest’ultima?

Principalmente con l’instaurarsi dell’anestesia del sentimento e, di conseguenza, con l’ipertrofia delle facoltà razionali per compensare le carenze sul versante affettivo.”

Alla luce di queste considerazioni occorre chiedersi se la nostra società moderna non sia di per sé completamente sbilanciata verso il materialismo, ovvero verso quella modalità economica dove sembra che l’unica cosa importante sia il consumo e il possesso di oggetti sempre più potenti da un punto di vista tecnologico.

Diventando sempre maggiori le necessità economiche di una società che sopravvive soltanto grazie a una iperproduzione di oggetti per lo più superflui, le capacità tecniche più importanti, oltre a quelle legate alla produzione industriale, sono proprio le tecniche di persuasione che, grazie a leve di tipo emotivo, riescono a condizionare la nostra percezione del mondo.

Ormai siamo diffidenti verso qualsiasi prodotto che non abbia un sufficiente supporto pubblicitario.

Ciò significa che quando noi compriamo un prodotto paghiamo, oltre al costo della produzione i costi legati alla diffusione del prodotto.

Cioè io compro l’auto X piuttosto che Y perché la comunicazione che ha svolto X è più convincente di quella di Y.

Almeno per me, che non sono altro che un individuo che fa parte di un certo gruppo di individui che costituisce l’obiettivo dei comunicatori di X.

Ma questa necessità di vendere ha bisogno di una carenza affettiva sulla quale costruire i bisogni.

Perciò la società è portata a distruggere i rapporti affettivi, in quanto essi non sono altro che una distrazione dal consumo.

La stessa diffusione del fenomeno dei single, che tendono a diventare più numerosi delle famiglie, ha un bel riscontro nel consumo. Vediamo per esempio che, secondo la Coldiretti, “La spesa mensile per gli alimenti di un single ammonta a circa €312,00/mese mentre quella di una famiglia ammonta a circa €190/mese. Quali sono le ragioni alla base di questa tendenza?”

Ma quali sono le conseguenze di questo disequilibrio? Che risvolti pratici può avere per noi conoscere queste cose?

Possiamo fare molta attenzione a tutto ciò che tende a separarci dai nostri affetti.

Si comincia subito, anche prima della nascita, preparando un parto dove la separazione tra madre e figlio sarà immediata, sempre che si abbia la fortuna di riuscire ad evitare un parto cesareo che esclude la mamma dalla coscienza della nascita.

Poi si continua sabotando l’allattamento al seno e si va avanti raccontando fandonie sugli asili nidi che già a sei mesi aiuterebbero i bambini a socializzare …

E si continua a interferire in ogni modo nel rapporto d’amore tra genitori e figli, grazie agli esperti, sempre più competenti dei genitori, alla scuola dove i genitori sono spesso vissuti come la causa delle difficoltà dei figli e dove il giudizio scolastico pesa come un macigno ed è squalificante nei confronti dell’autorità dei genitori.

Infatti l’autorità dei genitori passa subito in secondo piano, anzi viene annullata in confronto a quella degli insegnanti che hanno il potere di assegnare un voto, un giudizio che assegna ad ogni bambino un suo valore “oggettivo” poiché proviene dall’esterno della famiglia.

In effetti la scuola, così com’è attualmente strutturata, con i suoi giudizi, valuta non soltanto i ragazzi ma anche le loro famiglie, minando le sicurezze e le capacità dei genitori.

In definitiva il nostro equilibrio sembra sempre più appeso ad un filo, ma sta a noi fare attenzione a non farsi abbindolare, ad evitare di pensare che tutto dipenda da ciò che possiamo permetterci e ciò cui dobbiamo rinunciare.

Sta a noi impedire che le esigenze materiali ci costringano ad un eccessivo allontanamento dai nostri affetti, che hanno bisogno di essere coltivati, hanno bisogno di tempo e non soltanto di un paio di scarpe nuove.

Attenzione, cadere dal filo cui siamo appesi fa male!

La Gelmini ci prova con l’albero della cuccagna.

Pieter Brueghel il vecchio Land_of_Cockaigne 1567 dettaglio

Ecco l’esercito dei prof, l’un contro l’altro armati.
Il prof di ginnastica contro quello di matematica, quello di italiano contro quello di musica.

Vale di più intonare bene il DO RE MI o salire sulla pertica?

Disegnare una mela o una poesia a memoria?

Il sogno della Gelmini è quello di dividere gli insegnanti, metterli uno contro l’altro in un’assurda competizione per un pugno di dollari.

Ma che attinenza può avere un simile progetto strampalato e propagandistico con i bisogni della scuola.

Nelle aule ci sono insegnanti che sicuramente hanno bisogno di formazione poiché fanno sempre più fatica a svolgere il loro lavoro.

La capacità di trovare un modo per comunicare con gli studenti, di trovare un’empatia con loro, senza cui non è possibile alcun apprendimento, non si apprende sui libri ma ha bisogno di essere sostenuta da formatori esperti di comunicazione, di rapporti interpersonali, di psicologia.

La scuola sembra ormai una fabbrica dove i lavoratori non sono in cassa integrazione giusto perché la materia prima è sempre lì, ma dove nessuno sa che farne, nessuno riesce a coltivare questa ricchezza, cioè l’ intelligenza e la fantasia dei ragazzi, in qualcosa di più di un semplice 5, 6 o 7 che il più delle volte misura il grado di furbizia dei ragazzi nel districarsi dalle piccole trappole delle valutazioni.

La formazione non ha più alcun peso, anzi andando avanti così nessuno sarà neanche più in grado di offrirla.
Invece la valutazione è sempre più importante, perché si premia il merito, le capacità del singolo.
Cerchiamo il grande nuotatore in una società dove si lotta per non affogare in una vasca da bagno.
Perché la medaglia d’oro fa sempre spettacolo, mentre la miseria di tutti possiamo sempre tralasciarla, anzi sostituirla con un bello spot.

Senza contare i rischi di attribuzione clientelare e mafiosa per questi premi, il clima da leccata generale che è tanto caro ai nostri cari (im)potenti.
Tutta gente che ha fatto della prostituzione il metodo selettivo per eccellenza. Prostituzione e sottomissione in tutti i sensi, fisica e intellettuale, che è forse peggiore.

No Mariastellina cara, la scuola non ha bisogno delle tue sperimentazioni per valorizzare il merito, della carotina sventolata in bella vista dopo una marea di calci nel culo.
E’ un sistema deleterio di insultare i protagonisti di un lavoro che richiede impegno e dignità, competenza e passione.
Gli insegnanti hanno bisogno di aiuto, di aggiornamento pagato e non fatto a loro spese con la chimera della medaglia!
Hanno bisogno del sostegno dei genitori, che ormai sono totalmente assenti dalla scuola perché considerati  soltanto come un ulteriore fastidio, invece che una risorsa.
Hanno bisogno di una formazione psicologica, perché la vita nelle aule è dura per tutti, e se non si hanno strumenti per accogliere e comprendere le più svariate esigenze dei ragazzi si rischia di uscirne con i nervi a pezzi e di rimetterci la propria salute.

Queste sono le situazioni della scuola.

Ma Maria stellina fa tutti contenti! Ha piantato l’albero della cuccagna e la festa continua!

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Il Governo del Fare (cazzate) ! Inglese per tutti !

Ieri sera ero a cena da amici, e tra di loro c’era un insegnante di inglese madre lingua, disperato per l’impossibilità di insegnare ai ragazzi italiani che arrivano alle scuole superiori dopo aver ripetuto sempre le stesse cose in malo modo.
Il livello della conoscenza dell’Inglese in Italia, purtroppo, lo conosciamo tutti.
Ci faceva notare che ci sono delle direttive in Europa per utilizzare la TV al fine di insegnare l’inglese. E’ sufficiente trasmettere film in lingua originale inglese in TV, inizialmente con i sottotitoli e dopo 5 anni solo in originale.
Per esempio se trasmettessero I Simpson soltanto in Inglese avremmo tutti molto da imparare.

Simpson
A sentire il mio amico questo avviene in Spagna già da tempo e comunemente in Nord Europa.
Ma sembra che il lavoro di doppiaggio renda a Berlusconi qualche miliardo ed è un settore “intoccabile”.

Interessante, a questo proposito, la testimonianza e i suggerimenti risalenti al 2006 di uno studente universitario.

***

Conoscenza della lingua inglese

Come si potrebbe migliorare la situazione italiana.
Sono uno studente universitario che sta trascorrendo un periodo di studio come Erasmus in Olanda. Fin dal primo giorno che sono arrivato qui ho potuto constatare che noi studenti italiani siamo fra i peggiori in Europa a conoscere la lingua inglese.
La situazione italiana non è neanche lontanamente paragonabile a quella olandese e di tutti i Paesi del nord dove tutti conoscono l’inglese: dai professori agli studenti, dalla commessa del supermercato al portiere, fino all’ultima persona che si incontra per strada. Ma anche in confronto ad altri paesi europei (come il Portogallo o la Germania) la nostra conoscenza della lingua inglese risulta decisamente scarsa.
Personalmente ritengo che per una completa integrazione nell’Unione Europea è indispensabile che tutti i suoi cittadini siano capaci di comunicare fra loro. Dato che l’inglese è la lingua più diffusa nell’UE dovremmo quindi cercare sempre più di affiancare questa lingua all’italiano.

Ma come fare?
Lo strumento più efficace e più ovvio è quello di iniziare ad insegnare l’inglese ai bambini fin dalle scuole primarie, quando apprendere una nuova lingua è semplice: è quasi un gioco! Era una delle “belle promesse” di questo governo… realizzata? Non so fino a che punto.
Ma questo non è l’unico modo per migliorare la nostra situazione.
Sempre in tema di istruzione un altro efficace strumento è quello di utilizzare l’inglese in tutti i corsi Master dell’università. Cioè nei primi 3 anni gli insegnamenti dovrebbero essere in italiano, mentre nel +2 dovrebbero essere in inglese. Questo sistema è già uno standard in molti Paesi e so che si sta iniziando ad utilizzarlo anche in Italia: occorrerebbe incentivare decisamente (o forse obbligare) la sua diffusione in tutti gli atenei.

Un’altra semplice proposta, secondo me molto efficace, è quella di promuovere la visione dei film nella lingua originale. Ovviamente mi rendo conto che la televisione pubblica, essendo legata a regole stabilite dal mercato, non può permettersi di perdere quella consistente fetta di pubblico che si rifiuterebbe di seguire un film in lingue originale. Comunque la TV pubblica potrebbe iniziare ad inserire qualche film in inglese con sottotitoli in seconda serata o in altre opportune fasce orarie, oppure potrebbe trasmettere qualche cartone animato in inglese durante il pomeriggio.
Un ottimo strumento per incoraggiare la visione di film in inglese potrebbe essere quello di renderli disponibili al cinema ad un prezzo più economico. Questo significa che chiunque vuole vedersi il film in lingua originale invece di pagare 7 o 8 euro ne paga, ad esempio, 5. Questo strumento oltre a cercare di migliorare la diffusione dell’inglese raggiungerebbe anche un altro obiettivo: diminuire il prezzo del biglietto del cinema che ultimamente è diventato decisamente caro. Ovviamente lo Stato dovrebbe incentivare le sale cinematografiche a proiettare film in lingua originale attraverso sgravi fiscali o sovvenzioni che coprano in parte il gap sul prezzo del biglietto. Si dovrebbe fare in modo che in una multisala con 7 o 8 film un paio siano sempre in lingua originale con sottotitoli, oppure in cinema con una sola sala almeno per una settimana al mese vi sia una pellicola in inglese. Questo sistema non andrebbe ad intaccare il lavoro dei doppiatori: la maggior parte delle pellicole continuerebbe ad essere doppiata.

Spero di aver dato un piccolo contributo su un tema che forse attualmente non è una priorità ma su cui si dovrebbe cercare di trovare delle soluzioni ora, senza rischiare così si rimanere troppo indietro rispetto al livello degli altri Paesi europei.

duca_di_wellington

***

Io ricordo che oltre venti anni fa ero in Grecia e quasi tutti parlavano un fluente inglese.

Se fai due chiacchiere con i nostri “vucumprà” sempre più amati

vu-cumpra

scopri che molti di loro sono laureati e parlano quasi sempre inglese e francese molto meglio dei nostri professori.

E invece cosa riusciamo a fare in Italia, grazie al “Governo del Fare”?

Creiamo insegnanti di lingua inglese che partendo da ZERO con 50 ore di aggiornamento (di cui 20 on line) diventano INSEGNANTI di INGLESE per le scuole primarie !

Many thanks “Mamma” Gelmini!

gelmini

Ma noi pensiamo ad iniziare ad insegnare il dialetto !

I nostri bambini saranno certamente europei D.O.C.
Potta !!!

Tre ragazze che hanno abbandonato il NoBday

rabbia2

Ricevo da Irene e volentieri pubblico:

***

Questo profilo è stato aperto ufficialmente il 26 ottobre alle ore 17 e 15 per volontà di 3 studentesse universitarie di Roma che volevano contribuire alla manifestazione del 5 dicembre.
Anche se son passati solo 3 giorni il lavoro è stato impegnativo ed ha portato a convogliare nello stesso luogo virtuale ben $ studenti dei 3 atenei romani in poche ore.
L’idea era quella di creare una rete di studenti in contatto tra loro ( anche perché qua a Roma all’università poche persone sanno dell’iniziativa e non la seguono dal web ), con referenti per le singole facoltà e volenterosi che avrebbero aiutato nel passaparola, nelle P.R., e nel volantinaggio.
Le idee per un volantinaggio poco dispendioso semplice e funzionale c’erano. C’era un’ipotesi di evento di gruppo da organizzare verso fine novembre. C’erano da fare tante cose.
Nel fare questo lavoro abbiamo incontrato varie difficoltà tra cui il dover ritagliare tempo da giornate già molto piene per un compito abbastanza complesso, il contattare attivamente e personalmente il maggior numero possibile di persone che si stavano iscrivendo per trovare i referenti, cercare di darsi appuntamenti all’esterno del web per vederci di persona con ogni singolo referente, creare un volantino poco costoso e funzionale adatto a pubblicizzare la pagina degli universitari, dare indicazioni continue su come muoversi, su come aggiungere gente tramite funzioni facebook, rispondere ai quesiti che ci venivano posti dagli utenti della pagina, spesso quesiti molto generici ai quali non potevamo neanche dare una risposta poiché riguardavano l’organizzazione generale dell’evento o questioni che avremmo dovuto affrontare con calma, passo dopo passo.

Prima di ieri inoltre ci siamo scontrate con qualche organizzatore locale e con quelli nazionali per via di una inspiegabile reticenza a:

1- rispondere a quesiti legittimi per avere sostegno e collaborazione
2- dare il proprio nominativo.

Su questo secondo punto vogliamo chiarire che Noi 3 abbiamo sempre dato per scontato che, assumendoci la responsabilità di gestire una pagina, di coordinare un movimento di centinaia di universitari, sarebbe stato Necessario rendersi palesi e disponibili, dando i nostri nominativi.

Non ci si può coprire dietro un’icona, un sito, un profilo. E’ inaccettabile.

Noi che gestiamo e coordiniamo una pagina, noi che diamo indicazioni, che facciamo da tramite dobbiamo prenderci la responsabilità di quello che diciamo e facciamo.
Per questo quando prendevamo contatto con gli studenti ci siamo sempre presentate come prima cosa, parlando anche della nostra attività universitaria, dando recapiti, mettendoci la faccia.

L’anonimato in situazioni del genere non è Ammisibile.

E’ mancanza di chiarezza alla base del movimento.

Perché per sapere il nome di uno dei coordinatori del gruppo di Roma una di noi ci ha impiegato 20 minuti ???

Questa non è collaborazione.
Questo non è assumersi le proprie responsabilità.
Questo non è essere chiari.

Il gruppo di Roma inoltre ha dato per scontate troppe cose e ha utilizzato toni da entità organizzatrice superiore e non è questa certo la situazione in cui comportarsi in maniera ottusa e poco produttiva.

L’altro grande problema che si è posto in pagina nazionale i giorni scorsi è stato quello dei partiti e delle conseguenti bandiere.
Noi abbiamo posto la questione ai coordinatori nazionali per avere chiarezza in merito ma ci è stato risposto Altro.
Abbiamo chiesto riguardo A e ci è stato risposto riguardo B.
Non siamo scemi.
Forse gli organizzatori non lo capiscono.

Non c’è stata chiarezza neanche in questo caso.

Abbiamo anche suggerito, in merito a questa questione che appariva complessa e poco chiara appunto, di inviare un Comunicato Stampa a Tutte le Segreterie dei Partiti ( cosa non complessa da attuare ) per essere chiari e netti sulla questione delle bandiere e della partecipazione apartitica e solo civile all’evento.
Cioè Di Pietro viene come Di Pietro e non con il bandierone.
Su questo come mai nessuno ci ha risposto ??

Fino a ciò stavamo comunque andando avanti con voglia e passione, stavamo crescendo e stavamo trovando referenti e gente volenterosa.

Questo fino a ieri sera. Ieri sera abbiamo scoperto che uno dei fondatori della pagina Franco Lai è stato rimosso dall’incarico di amministratore e ha scelto di uscire dal movimento, lasciando, appena possibile, una nota con le spiegazioni dettagliate dell’avvenuto.
Ed è chiaro che, dopo giorni e giorni di duro lavoro giorno e notte, lo ha fatto con dolore, rabbia, delusione.

Noi ci siamo informate, ieri sera..
Anzi abbiamo provato a informaci, lo abbiamo fatto nella pagina nazionale ponendo dubbi e quesiti.
Ma siamo state trattate in maniera poco gentile e educata da varie persone, tra cui per primo va menzionato colui che ieri rispondeva da quella pagina poiché Unico Amministratore della Pagina Nazionale per sua Volontà : San Precario.

Tale soggetto è un Tizio ( e non lo chiamiamo così a caso ) di cui Nessuno conosce l’Identità.

E non parliamo dell’identità su face book, cioè di gusti, posizioni politiche, fotine di amici, ma parliamo di Nome e Cognome.

Dobbiamo dire e far notare che : dei 6 fondatori è stato l’unico a rendersi Reperibile Solo
Via Internet.
Nessuno lo ha mai visto né sentito.

Noi troviamo Folle che una persona si assuma la responsabilità di fondare, guidare, organizzare una pagina di 150.000 e passa persone potendo scomparire da un momento all’altro, non palesandosi, non assumendosi la reale responsabilità della situazione, nascondendosi dietro un Nick Name.

Non ci troviamo nulla di Democratico in tutto ciò.

E’ facile giustificarsi, come San Tizio ha fatto, dicendo che è per non rischiare ( cosa la pelle ? siamo forse nel Cile di Pinochet ? Non facciamo i tragici. )

San Precario non rischia, e gli altri fondatori del gruppo , gli organizzatori dei gruppi locali ( non tutti ) , tra cui anche noi 3, stiamo rischiando mettendo al posto suo nome cognome e faccia ?!?!
Perché noi lo abbiamo fatto. ?? E Lui no. ??

Secondo San Precario in Questura a dare i Nominativi per i banchetti ci sareste dovuti andare Voi, non Lui, che invece rimane un Account su Facebook e qualche riga su un blog.

Potrebbe essere chiunque.

E non vogliamo certo fare fantapolitica.

Crediamo solo sia giusto in una situazione simile essere onesti, chiari, e dire chi siamo realmente e cosa stiamo facendo.
E Non mandare avanti Nomi e Cognomi altrui.

Questo San X oltretutto ha varie volte usato toni aggressivi e da fomentato e si è addirittura paragonato ai Partigiani che durante la guerra mantenevano l’anonimato. ( vedere post che ha lasciato in bacheca sulla pagina nazionale -_-‘ )

Ora noi abbiamo rispetto per i Partigiani e per quello che hanno rappresentato nel paese.

Ma non abbiamo rispetto verso chi pretende di paragonarsi ad essi. ( e senza neanche metterci la faccia. )

Leggete Tutti la Nota che abbiamo Linkato firmata franco Lai, [COPIA] uno dei fondatori del movimento che è stato costretto a scegliere di andarsene, Nota che Lai ha scritto per spiegare a tutti quello che era successo.

E riflettete sul fatto che è l’unico che ci ha fornito delle spiegazioni.

Il comitato dei fondatori e gli organizzatori ha glissato di fronte alle nostre domande,e al massimo ha parlato di semplici litigi tra Franco e San Precario

Questo vuol dire provare a prendere in giro le persone.
Pensando che non ragionino.

Noi ragioniamo,
Poniamo domande,
e cerchiamo di capire.

E abbiamo capito che in questa organizzazione non c’è chiarezza, rispetto, onestà.

Questo non ci appartiene. Non fa parte del nostro modo di lottare.
Noi lottiamo appunto non solo contro Berlusconi ma contro quello che rappresenta e per quello che non rappresenta, cioè la democrazia, la responsabilizzazione, la chiarezza, l’onestà.

Se queste cose vengono a mancare tra di noi, tutto ciò perde di senso e di forza.
E anzi diventa qualcosa di assurdo e grottesco.
Che non ci rappresenta. Che è contraddittorio. E molto ambiguo.

Con dispiacere ci accingiamo a chiudere la pagina degli studenti universitari di Roma.
Chi vorrà potrà aprirne un’altra, e intanto prendere contatti qua sopra.

A ognuno la propria riflessione.
E ognuno vive e sceglie come vuole e soprattutto come può.

Con amarezza

Ilaria, Sabrina, Irene

***

Il dialogo con gli organizzatori del NoBDay sembra veramente difficile.

Sembrano davvero troppi i lati oscuri.

Sono passate due settimane dalla manifestazione e sembra calato il silenzio.

Ma davvero abbiamo bisogno di SILENZIO ?

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Collaborare o competere ?

Da “Attivare le risorse del gruppo classe” di Mario Polito, pag. 304-305-306

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Un insegnante descrive alcune difficoltà nella realizzazione di un progetto sulla collaborazione in classe:

“Vorrei riportare un fatto che mi è accaduto.

Insieme con i miei colleghi abbiamo elaborato un progetto sulla collaborazione, sullo star bene insieme.
Abbiamo presentato l’importanza di questo progetto ai genitori e agli studenti.
Nonostante il nostro impegno, abbiamo notato alcune situazioni sconfortanti.

Gli studenti avevano creato una gerarchia fra le varie materie: questo progetto di educazione ai sentimenti non veniva considerato alla pari delle altre materie, ma veniva percepito come un divertimento, come un giochino di socializzazione. In breve, come una perdita di tempo.

Quando si chiedeva loro: “Che cosa avete fatto a scuola?”, molti rispondevano frettolosamente: “Ah, niente. Abbiamo parlato”.

Probabilmente questi ragazzi ritenevano che la scuola fosse qualcosa di diverso.

“Scuola” nella loro mente è associata a spiegazione, interrogazione, voto.

Un’altra osservazione scoraggiante ci è stata presentata da alcuni genitori.

Venendo a colloquio, ci hanno chiesto costantemente: “Come va mio figlio ? Quanto si impegna ? Quali difficoltà incontra nella sua materia?”, ma nessuno di loro mi ha chiesto: “Cosa stanno facendo di interessante? In cosa consiste questa esperienza di collaborazione? Mio figlio e i suoi compagni stanno migliorando come persone? Come stanno cambiando le relazioni far di loro? Come si è modificato il clima in classe?”.

Mi rendo conto che non basta fare un progetto di educazione ai sentimenti o di apprendimento cooperativo.

Mi rendo conto anche che ci sono molte difficoltà, resistenze e svalutazioni verso l’approccio basato sulla collaborazione” .

E’ utile riflettere su questa contraddizione tra la nostra valorizzazione di progetti pedagogici di apprendimento cooperativo o di educazione ai sentimenti e la svalutazione che ricevono nella nostra società, dove si respirare costantemente un atteggiamento egocentrico di affermazione individuale, anche a scapito degli altri.

Possiamo notare che spesso, all’interno dei valori oggi dominanti, si tende a presentare la vita come una lotta, con l’unico obbiettivo di emergere.

Si esaltano i vincenti e si offendono i perdenti. Si suggerisce implicitamente che per emergere bisogna scalzare gli altri, che l’affermazione di uno consiste nell’esclusione di molti.

Questa è la trama del nostro modello culturale e sociale.

In alcuni contesti la gara comincia fin dalla scuola d’infanzia: bisogna raggiungere dei buoni punteggi per entrare nella scuola primaria, poi per accedere alla scuola superiore, poi per essere ammessi all’università , e infine per ottenere una buona sistemazione professionale.

La vita diventa una scalata per poter raggiungere i posti più elevati superando ed escludendo gli altri.

E’ una mentalità talmente diffusa e considerata normale che quando un insegnante propone dei progetti di apprendimento cooperativo, di collaborazione, di educazione ai sentimenti, viene frainteso dagli studenti, dai genitori e da quei dirigenti scolastici trasformati in manager di tipo aziendale.

Spesso i genitori chiedono ai figli: “Che voto hai preso?”, invece di domandare: “Quali esperienze avete fatto in gruppo? Che cosa è emerso all’interno della vostra classe? A cosa state lavorando insieme? Come riuscite a collaborare? “.

Generalmente i genitori manifestano poco interesse all’esperienza relazionale dei propri figli all’interno del gruppo classe. Mirano ai voti, al risultato.

Molti sono immediatamente pronti a giustificarsi: “Ma alla fine sono solo i voti che contano”.

Questo messaggio individualistico e competitivo si è ormai fortemente radicato nella mente e nel cuore degli studenti.

Forse sono proprio gli adulti che non credono abbastanza al valore della collaborazione a scuola.

Oppure presentano una singolare scissione: superficialmente, manifestano ammirazione verso i progetti di educazione alla collaborazione, ma in fondo pensano sia migliore la competizione, la selezione, il successo del proprio figlio rispetto agli altri:

“Gli altri che non riescono? Si arrangino. La scuola non è un istituto di beneficenza” .

La competizione è molto seduttiva: si insinua nella vanitosa aspettativa dei genitori di avere dei figli prodigio, si radica nell’egocentrismo esaltato di alcuni studenti che, per mancanza di una autentica autostima, hanno bisogno di essere considerati i migliori per sentirsi superiori.

Naturalmente, per raggiungere tale scopo, ci devono essere altri studenti da svalutare e da etichettare come inferiori.

Le domande pedagogiche che ci incalzano sono le seguenti:

Quale tipo di società stiamo costruendo o vogliamo costruire?

Una società competitiva o collaborativa?

Qual è la funzione della scuola in una società competitiva?

Qual’ è la sua funzione in una società collaborativa?

La scuola è al servizio degli interessi economici centrati sul profitto e sulla competizione di mercato?
Oppure è un luogo formativo per tutti, dove ciascuno può dedicarsi all’esplorazione dei propri talenti e alla formazione delle proprie competenze professionali, ma anche culturali ed esistenziali?

Possediamo una cultura della solidarietà e della costruzione del bene comune?

Le risposte a questi interrogativi sono per il momento scoraggianti.

Tuttavia, il compito dell’insegnante è di stimolare ogni studente a porsi domande sul tipo di società in cui viviamo e di orientare un pensiero comune verso la costruzione di progetti esistenziali più autentici, sia personali che sociali.

__________________________________________________________________________________________

La scuola avrebbe bisogno di risorse e di formazione, i nostri ragazzi ne hanno bisogno

e invece …

Tagli alla scuola pubblica

Il Governo Berlusconi mantiene la promessa: 36.218 docenti e 4.945 classi in meno, a fronte di un aumento di 37.876 alunni. La dieta imposta all’istruzione non migliora la qualità della scuola: nel dossier 2009 di Legambiente i tagli all’istruzione dal 2002 al 2010

Scarica qui il dossier completo di Legambiente

Un ringraziamento all’autore, Mario Polito, che ha gentilmente autorizzato la pubblicazione del brano e al Gruppo Comitati-Genitori da cui ho ricevuto la segnalazione.

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Quando la realtà supera la fantasia!

Ho ricevuto una email da Dario Lesca, un amico dell’Open Source e della filosofia della condivisione, che volentieri pubblico:

Bambini contenti

Vi racconto una storia, solo al temine vi dirò se è vera o me la sono
inventata di sana pianta.

Anno 2009, Ivrea, Scuola Elementare, Classe Prima, Riunione di classe di
inizio anno scolastico.

Maestra: “Quest’anno il programma educativo sarà basato sui valori
sostenibili … di aiuto per i più deboli…. insegneremo come la
Solidarietà e la Condivisione possano fare molto per questa società …
parleremo ai bimbi di come convivere col prossimo e risolvere le
questioni in modo pacato, tramite il dialogo piuttosto che con la lotta
e la prepotenza .. ecc …”

Si alza una Mamma: “Scusate ma io non sono affatto d’accordo con questo
metodo di insegnamento da “Sfigati”, macché solidarietà! … macché
disabili… Io a mio figlio insegno che deve essere il più forte, e
perciò deve lottare… Basta buonismo, non perdiamo tempo… Mio figlio
va a calcio, anche li gli insegno che deve darci dentro e farsi valere
per essere il migliore…”

Si alzano altre Mamme: “Si! Giusto! anche noi la pensiamo così…. siamo
d’accordo con la signora… altro che buonismo… Tutte
Stupidaggini …”

A questo punto la Mamma che mi ha raccontato questo, e che
sostanzialmente si trovava d’accordo con le maestre, era letteralmente
allibita, ha tentato di dire la sua ma era in minoranza.

Morale:

Dopo anni di Televisione e Politica Spazzatura, di grandi Fratelli, di
Tette e Culi, di Escort e Trans … ecco cosa ci ritroviamo.

Genitori rovinati, che di conseguenza alleveranno figli sintonizzati su
valori errati di vita.

Ci aspetta un bel futuro!

Ciao.

P.S.: La storia purtroppo è VERA!

Ciau Nè!

Grazie Dario! Vorrei non dover più leggere storie come queste, ma temo che non sarà facile.

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