Sicuramente Grillo colpisce la sfera emotiva, elemento difficile da scaldare da parte di tutti gli altri politici, tutti centrati sugli aspetti economici della società, aspetti che attualmente inducono solamente stati depressivi.
Il furbo Grillo invece colpisce l’immaginario, alimenta la fantasia, genera speranze ed illusioni.
Un trionfo dell’Es, libero e ribelle, sull’Io tanto triste e costretto a fare i conti con la realtà.
Ma le motivazioni per il voto sono ormai sempre più irrazionali e Grillo ammalia, con il suo canto da sirena, il giovane che cerca un alito di colore nel grigiore della vita politica e anche persone di tutte le età desiderose di una ventata nuova ed una propensione al rischio.
Insomma, chi trova in lui un “padre” trasgressivo e chi trova in lui una fantasiosa identificazione che permette di agire rabbie e frustrazioni quotidiane, sublimandole in una risata…
Grillo è in grado di coinvolgere tutte le persone che nascondono una certa fragilità, ingenui propensi a seguire l’incantatore di serpenti.
Ben pochi conoscono infatti i suoi retroscena manipolatori, il suo grande tornaconto economico, la sua propensione alla censura.
Ormai il grande imbroglione è creato, ed è in grado di fare danni.
Ma sembra ormai più simile ad un Frankenstein sfuggito di mano ai suoi stessi creatori…
e Cosimo Archibugi, che intuendo la mia dedizione alla psicanalisi, per me utilissimo strumento per districarsi nelle vicende della vita, seppure “non condividendo” considera “giusta”la mia fiducia nell’amore.
Ma questa “fiducia nell’amore” è un tema che va approfondito, e che vorrei spiegare un po’ meglio.
Infatti non si tratta di un tema “morale”, come inteso da Cosimo Archibugi, ma di un tema scientifico.
La psicanalisi è una scienza che si occupa dello studio della psiche, ma vive nella contraddizione apparente per cui soggetto ed oggetto di studio coincidono.
Spiego meglio: se io, Giorgio, intendo osservare Carlo, i suoi sentimenti, le sue emozioni, ciò che di lui non è “misurabile” come la temperatura del corpo o la pressione arteriosa, il peso e l’altezza e il colore degli occhi …, dispongo soltanto della mia sensibilità.
Al di là di ciò che Carlo “dice” con il linguaggio verbale e non verbale, esiste ciò che Carlo “suscita in me stesso”: emozioni, paura, rabbia, disagio, amore, odio etc etc.
In questo senso l’idea generica dell’amore è soltanto una chiave di lettura del mondo.
Ognuno di noi per sopravvivere ha bisogno di amore. Quando ci si sente non amati si perde anche la capacità di amare. E questo molte volte ha conseguenze drammatiche.
Poi l’amore permette di sopravvivere soltanto se si hanno sufficienti mezzi “economici” di sussistenza.
“Tutti sappiamo che i bambini del terzo mondo, nonostante le cure materne, muoiono di fame. Pochi invece sanno che anche i bambini nei paesi a più elevato sviluppo socio-economico, che hanno a disposizione cibo in abbondanza e cure igieniche adeguate, si ammalano fino a morirne, se sono privati delle carezze e del contatto di cui hanno così tanto bisogno. René Spitz (Il primo anno di vita), noto neuropsichiatra infantile degli Anni Trenta, ricercò e studiò a lungo (ne “Il primo anno di vita del bambino”) le cause del marasma infantile, malattia caratterizzata da progressivo deperimento organico, che portava a morte i piccoli ospiti degli orfanotrofi americani.
E alla fine giunse alla conclusione che nell’ambiente asettico, bianco e silenzioso delle nursery, quello che mancava era un contatto caldo, affettuoso, variato, che costituisse lo stimolo della vita e della crescita. I bambini in stato di carenza affettiva attraversavano vari stati di depressione sempre più profondi fino a lasciarsi morire.”
Ciò che noi proviamo, in rapporto con gli altri, è un continuo mutamento dei nostri stati d’animo.
Noi cambiamo continuamente, e una grande parte dei cambiamenti del nostro sentire “amore” è in rapporto al nostro vivere insieme agli altri in un continuo scambio emotivo ed affettivo.
Adesso io ritengo che la sopravvalutazione degli aspetti economici, su cui tutto il mondo politico punta per ottenere i voti per essere eletti e riuscire a governare un Paese, con notevoli vantaggi economici anche per se stessi, sia una malattia del nostro mondo da cui difficilmente potremo guarire.
Il percorso di riappropriazione della nostra affettività, poterla riconoscere come un aspetto fondamentale della nostra esistenza.
La capacità di leggere il proprio vissuto, la propria sensibilità e accettarla come una ricchezza che ognuno di noi possiede e che può utilizzare per godere della propria vita.
Lo scambio affettivo continuo che è al centro dell’esistenza.
Questi sono gli aspetti che potremmo porre al centro della nostra vita politica, della nostra proposta di riforma dell’organizzazione sociale.
Perché se il concetto di ricchezza non è più legato al possesso di beni materiali, bensì alla propria ricchezza interiore, alla propria ricchezza affettiva, allora i parametri su cui centrare la propria attività politica e sociale cambiano completamente.
Le nostre rivendicazioni chiederanno maggior TEMPO piuttosto che maggior DENARO.
Ma invece viviamo in un epoca dove la cultura dell’ultimo vincitore delle elezioni (non dimentichiamoci di Berlusconi, un simbolo della scelta che una buona parte di Italiani ha fatto) è quella di un uomo che con i soldi può comprare qualsiasi cosa, dai calciatori ai giudici, dai parlamentari alle donne.
E proprio su questo sistema di comprare le donne, che poi lo ritroviamo nella vita sociale di una gran parte dei maschi italiani che si rivolgono alla prostituzione, che cade completamente il tema dell’amore.
L’amore, nel suo aspetto fisico, perde di significato in senso emotivo e diventa semplicemente una moneta di scambio economico.
Perciò il mio “W l’Amore” non è uno slogan “morale”, ma il frutto di una ricerca scientifica che ci dimostra che senza l’amore si muore, esattamente come si muore senza cibo.
Quando penso ai numerosi suicidi di questi tempi, anche di imprenditori che si ritrovano sommersi dai debiti, immagino queste persone che hanno dedicato la vita al lavoro per ritrovarsi con una situazione dove il denaro rappresentava la totalità dell’esistenza, e la sua mancanza ha determinato la loro tragica scelta. Persone che purtroppo hanno perso la dimensione e l’equilibrio degli aspetti della vita, un bene prezioso, in cui il prevalere del dio denaro può uccidere…
Un sentito “Grazie” ai generosi commenti che mi hanno stimolato per scrivere quanto sopra!
Si fa presto a criticare in questo mondo, è la cosa più facile.
Attacco e contrattacco, polemica mischia insulti e rissa.
Può essere un atteggiamento nella vita, dove si fa presto a trovarsi coinvolti in una rissa per futili motivi, ma anche sul web, che in fondo è un posto dove spesso ci si frequenta tra perfetti sconosciuti, il “vaffanculo” è un must.
Bastano due parole di troppo e scatta.
Su Facebook si toglie l’amicizia, amicizie create spesso anch’esse per futili motivi.
Sui blog ci si insulta e si banna. Si censura, si manda affanculo e poi si impedisce al “molesto” frequentatore di continuare a scrivere nel proprio spazio.
E’ anche una autocritica la mia.
Le cose che mi suscitano più rabbia sono due: le bugie e la censura.
Spesso, se ho tempo e se ho voglia, quando mi imbatto in queste cose mi esprimo, cercando di mettere in luce l’incongruenza e l’ingiustizia.
Divento aggressivo anch’io? Sì, a mio modo sì. Evito gli insulti, cerco di essere più efficace, di dimostrare l’inconsistenza degli argomenti che mi vengono proposti.
Ma, in un modo o nell’altro, manifesto una certa aggressività, non fosse altro che cercando di mettere in ridicolo l’interlocutore.
D’altra parte non ricordo mai, forse sbaglio, di qualcuno che, viste le mie critiche per lo più sensate, abbia scritto: “Sì, mi sono sbagliato. Credevo in un modo ma mi hai mostrato qualcosa di diverso, a cui non avevo ancora pensato…”
No, niente.
Solo gente che sparisce. Che ti scrive: “qui non scriverò mai più, è inutile”. Oppure che ti insulta. Che va via sbattendo la porta. Che cancella quello che ho scritto e chiude i commenti. E via dicendo.
Mi chiedo se il mondo abbia perso il senso della ragione. Se siamo abituati ormai soltanto ad un modo di pensare da tifosi: la ragione sta di qua ed il torto sta di là. Qualsiasi cosa accada.
Si sposa uno schieramento e quello è per sempre. Una bandiera da tenere alzata e da picchiare in testa a chi la pensa diversamente.
Eppure esiste un modo diverso di dialogare. Un modo che probabilmente sul web non è posssibile, perché riguarda anche la sfera privata.
Quando discutiamo con qualcuno bisogna pensare di mettere in discussione anche noi stessi. Così potremo forse insegnare ed imparare. Così discutere sarà una cosa utile.
Altrimenti continueremo a giocare a braccio di ferro, cercando solo la ragione ed il torto, il giudizio e la condanna, la sentenza e la fucilazione dell’avversario.
La nostra società è costruita con continui giudizi. La scuola che cosa è se non una continua verifica, una continua valutazione.
Aiuta a crescere? O aiuta a pensare che il mondo è semplicemente diviso tra buoni e cattivi, bravi e incapaci?
E all’interno della famiglia non si riproducono gli stessi meccanismi? Premi e punizioni, a secondo del MERITO, altro grande mito dei nostri tempi.
Quando invece all’interno della famiglia l’amore e l’affettività esistono al di là di qualsiasi capacità e merito sia dei genitori che dei figli. Mentre il sistema scolastico e sociale cerca di insegnare ai genitori di “non amare” i figli “non meritevoli”.
E’ un concetto schematico, ma il gioco del ricatto in famiglia è quanto mai comune: “se sei buono e bravo poi…”
Ma tornando alle lotte nel web, il presupposto errato è forse quello che ognuno di noi non può più cambiare. Ha assunto determinate convinzioni e atteggiamenti e BASTA!
Per “discutere, ragionare, crescere” non c’è più spazio. C’è spazio solo per combattere!
Non voglio crederci e cercherò un poco più di umiltà.
Chiedo scusa a tutti coloro che, in un modo o nell’altro, ho ferito.
Anche se mi piacerebbe leggere qualche loro parola di apertura, di desiderio di confronto reale.
Fuori dal gioco “io ho ragione e tu hai torto!”
Possibile?
Certo è difficile per qualcuno come me che è cresciuto in mezzo agli scontri tra studenti e polizia, tra morti ammazzati e promesse di vendette…
Ognuno di noi contiene miti antichi e recenti e li esprime come può. Raramente questa ricchezza di messaggi che ognuno di noi cerca di trasmettere viene accolta, compresa e interpretata.
Il primo mito è quello della uguaglianza. E’ una storia antica come il mondo, forse…
Nel mito risale addirittura ad Adamo e d Eva, quando il serpente promette ad Eva di diventare uguale a Dio nutrendosi del frutto proibito, dall’albero della conoscenza del Bene e del Male.
Il mito della Rivoluzione giovanile, il ’68, le lotte studentesche si ispirano sempre ad un concetto di uguaglianza e di parità tra gli uomini. Che poi diventa parità di diritti per le donne. Sembra che tutte le aspirazioni umane siano legate al concetto di uguaglianza.
Questo è un primo aspetto.
Contemporaneamente interviene un uso sempre più massiccio della pubblicità, con strumenti sempre più sofisticati si cerca di condizionare le scelte di tutti noi, che non siamo più uomini e donne con le nostre gioie e i nostri dolori, le nostre speranze e le nostre emozioni, ma diventiamo tutti i CONSUMATORI.
I miti che si scontrano diventano allora l’uguaglianza ed il consumo. Vogliamo essere uguali, ma nel consumo vogliamo anche distinguerci.
Da un lato i prodotti promessi ci permettono di appartenere ad una società che si riconosce simile, se non uguale, in base a segnali inequivocabili dell’abbigliamento (un marchio piuttosto che un altro, etc.) dei gusti e delle mode in generale.
Dall’altro sono sempre i prodotti che consumiamo ci permettono di distinguerci dagli altri, di possedere in esclusiva qualche oggetto del desiderio che suscita invidia, che ci rende “desiderabili”, come fossimo anche noi semplici manichini di una vetrina, portatori di un messaggio che, a nostra insaputa, ci spersonalizza rendendoci più oggetti che soggetti.
In tutto questo contesto, descritto qui per altro in modo alquanto generico ed approssimativo, si innesta l’adolescenza.
La famiglia è per eccellenza il luogo della disuguaglianza. Genitori e figli sono profondamente diversi, anche se simili.
A tutti è evidente la differenza tra un bambino e un adulto. Le possibilità di azione di un adulto sono sempre aspirazioni dei bambini, semplici sogni per tutta l’infanzia.
Quando sarò grande potrò …. non tutto ma di tutto, e anche di più…
Arriva un momento in cui questo essere piccoli ed essere grandi si mescola in una miscela esplosiva.
Il corpo si sviluppa e l’aspetto fisico è ormai simile a quello di papà o di mamma. Magari un ragazzo ha più forza fisica del suo papà e si sente più forte di lui. Una ragazza si sente più bella della mamma…
Il classico gioco della vita.
La disuguaglianza nella famiglia diventa un motivo di conflitto. E’ messa in discussione. Ogni minuto. Quello che ieri non si poteva fare oggi è possibile. Ed improvvisamente i ragazzi e le ragazze vogliono poter fare tutto e subito.
I genitori ovviamente sono spaventati e sono costretti a trovare una posizione di contenimento di tanta esuberanza, assumendo sempre il ruolo di moderatori, proponendo o imponendo regole, orari, limiti.
Diventano insomma, nella visione dei ragazzi, l’ostacolo che si incontra nella strada per la libertà piuttosto che coloro che li accompagnano nella conquista dell’autonomia.
La disuguaglianza nella famiglia, vissuta fino al giorno prima in modo del tutto naturale, diventa insopportabile, vero e proprio campo di battaglia dove ogni regola va infranta, ogni orario va allungato,ogni limite va ridimensionato.
Ogni famiglia ovviamente ha la sua storia e le sue modalità, ma i temi in generale sono questi un po’ per tutti.
Si inserisce però, in questa dinamica naturale, il fattore CONSUMO.
L’emotività nell’adolescente è particolarmente sensibile, proprio perché si attraversa una fase di rapide trasformazioni che costringono ad adattamenti non sempre altrettanto veloci.
Il bisogno di essere adeguati, simili, UGUALI al gruppo dei pari, agli amici, ai compagni, sembra essere l’interesse principale.
E siccome il tentativo sociale è quello di spersonalizzarci per ridurci a semplici CONSUMATORI, per ovvi interessi economici, ecco che gli adolescenti sono facili prede dei consumi più banali, inutili e, spesso e purtroppo, dannosi.
La prima proposta di “emancipazione” per i ragazzi è la sigaretta. Terribile trappola a cui ben pochi ragazzi riescono a resistere.
Più raccontiamo che di sigarette si muore e più i ragazzi ne sono attratti. Ovvio, in una società in cui gli adulti sono grandi CONSUMATORI di tabacco, i ragazzi sono molto propensi a compiere questo gesto per sentirsi finalmente grandi. Banale e micidiale.
I morti si contano negli anni successivi.
🙁
Ma subito dopo la sigaretta arriva la trappola della marijuana.
Qui i fattori sono molteplici. Diverse le attrazioni.
Prima di tutto la trasgressione è più forte. Si crea subito una necessità di nascondersi dai propri genitori. Si sta usando una sostanza illegale. Ci si allontana dai genitori che, nella mente dei ragazzi “mai potranno capire…”
Ma poi, il messaggio micidiale insito nel consumo di marijuana, è quello dell’uguaglianza.
Il rito del consumo prevede un cerchio di persone che condividono lo spinello o il cilum.
Tutti fumano dallo stesso oggetto. Tutti ricevono le stesse sensazioni. La marijuana diventa la droga dell’uguaglianza e dello sharing, della condivisione, della democrazia, del comunismo dove Facebook è il luogo dell’incontro che non finisce mai, continua dalla piazza di ritrovo fino alle aule della scuola o le stanze di casa, grazie anche alle tecnologie portatili che ci permettono di continuare una vita collettiva in un rito di consumo senza fine.
Contrapposto alla famiglia, dove la DISUGUAGLIANZA ancora esistente diventa terreno di battaglia, dove i genitori diventano un semplice supporto economico, ma sono spesso vissuti come ostacolo alla propria indipendenza, alla propria libertà, alla propria conquista di una identità che non è più quella del bambino ma non è ancora quella dell’adulto.
E allora? I genitori restano disorientati, i ragazzi sono disorientati e la confusione a volte può prevalere e creare situazioni sempre più complesse con matasse sempre più difficili da dipanare.
Anche perché il gruppo di ragazzi può diventare branco, piccola gang. La condizione di illegalità della marijuana li mette comunque in una posizione illegale, dove una volta infranta la legge in modo così banale la strada per nuove infrazioni è aperta, come il piccolo furto o lo spaccio… E tutto questo può aggravare situazioni che magari sono gestibili anche con maggiore serenità.
Per i genitori diventa allora necessario dotarsi di adeguati strumenti di lettura di tutte queste situazioni potenzialmente esplosive, per non vedere i propri figli allontanarsi sempre di più in una società che è pronta a fagocitarli, a vederli soltanto come CONSUMATORI facilmente influenzabili, renderli vittime di falsi bisogni che li allontanano dalla loro affettività, dalla reale conoscenza di se stessi e dalla formazione dell’identità.
“e del resto da quel figlio ha preso le distanze ormai da anni: è dal 1995, ha detto, di non avere contatti con lui, dal giorno del 16esimo compleanno del ragazzo. A troncare i contatti è stato proprio Anders: «Non abbiamo mai vissuto insieme – ha precisato Jens Breivik -, abbiamo avuto solo qualche contatto quando era bambino.”
Queste sono le dichiarazioni del padre di Anders Breivik, l’uomo che in Norvegia ha sterminato una settantina di ragazzi indifesi.
Non sono riuscito ad avere molte notizie della biografia di questo ragazzotto la cui lucida follia ha causato tante vittime.
La madre e la matrigna (ex seconda moglie del marito) si sono nascoste per evitare le domande dei giornalisti.
Sappiamo poco, ma sappiamo per certo che la relazione con il padre era interrotta dall’adolescenza di Anders.
Il padre ha la GIUSTIFICAZIONE pronta: non sento di essere suo padre (!!!)
Eppure è suo padre.
Essere padri richiede un certo impegno. Se lo è mai chiesto il Sig. Jens Breivik ?
Perché poi è possibile che un figlio, pur di farsi notare da suo padre, uccida tanti ragazzi, suoi ex coetanei che magari hanno una gioventù serena, con il sostegno delle loro famiglie, che li mandano fiduciose al campeggio laburista.
Per quanti anni la mente di Anders Breivik ha covato odio e rancore per un padre reale ma assente?
Avrebbe potuto raggiungerlo, chiedergli aiuto? Forse sì. Però, bisogna notare che anche il padre non pensa che avrebbe dovuto rivolgersi a lui prima di agire con la tremenda violenza che tutti conosciamo, ma che avrebbe dovuto suicidarsi piuttosto che uccidere tante persone.
E dice semplicemente che adesso non lo vuole mai più rivedere.
Evidentemente anche quest’uomo fugge dalla realtà e preferisce cancellarla piuttosto che confrontarsi con essa.
Ho letto di complotti contro la Norvegia ed altre ipotesi più o meno fantasiose. Non so, non credo. Ma tutto è possibile in questo mondo ormai incomprensibile. Resta il fatto che a compiere queste azioni è stato un uomo. Manovrato e istigato? Chissà?
Ma è lui che ha guardato in faccia quei ragazzi e ha premuto il grilletto.
La sua storia si interseca tra leggende di Dracula e la Transilvania e lotta contro l’avanzata dell’impero Ottomano.
Anch’egli fu consegnato dal padre Dracul come ostaggio al sultano nel 1444 all’età di 13 anni. Non penso che il giovanissimo Vlad abbia potuto capire e apprezzare il gesto del padre …
Un’altra separazione dal padre nel corso dell’adolescenza che innesta una spirale di violenza inaudita.
Fu educato dai turchi all’arte della guerra e, in mezzo alle storie rocambolesche del 1400, diventò infine Principe di Valacchia.
Riporto un passaggio di Wikipedia per comprendere la brutalità di quest’uomo:
“Dracula apprese questa forma di supplizio (l’impalamento) dai turchi, adattandola poi alle sue più specifiche richieste: creò metodi diversi per impalare i ladri, i guerrieri nemici, gli ambasciatori del Sultano, i traditori ecc.
I ricchi venivano impalati stendendoli più in alto degli altri o facendo ricoprire l’asta d’argento.
Per i mercanti fece incidere delle tacche sull’asta, al fine di aumentare il tempo dell’agonia.
Nella città di Sibiu, nel 1460 Vlad Ţepeş fece impalare 10.000 persone, e cosparse alcuni corpi con miele per attirare ogni tipo di insetto.
Le donne macchiatesi di tradimento nei confronti del marito venivano impalate davanti alla loro casa.
Nel 1459, durante il giorno di san Bartolomeo, a Braşov, Dracula fece invitare a palazzo alcuni mercanti che avevano mostrato odio e disprezzo nei confronti della sua persona. Decise di farli saziare di cibo e, quindi, fece sventrare il primo e obbligò il secondo a mangiare ciò che il collega, ormai senza vita, aveva nello stomaco. L’ultimo mercante venne fatto bollire e la sua carne fu data in pasto ai cani.
Nel 1461 due ambasciatori del Sultano turco Mehmed arrivarono nel palazzo, poiché quella era l’occasione per Vlad III di fare la pace con il sultano Mehmed che era il suo nemico più potente e il cui impero musulmano poteva distruggere la Valacchia senza il minimo sforzo. Quando si prostrarono ai piedi di Vlad III chinarono la testa in segno di rispetto, ma non si vollero togliere il turbante perché rappresentava il simbolo della loro religione. Ma quel gesto fu fatale, perché era un segno di disprezzo per Dracula, che irritato da quel gesto, ordinò di inchiodare il turbante alla testa degli ambasciatori.
Lo stesso Dracula amava assistere all’agonia dei suppliziati, tanto da prendere l’abitudine di banchettare in mezzo alle forche su cui erano gli impalati.
Sempre nel corso di queste ricerche ho trovato un sito dedicato ai serial killer, dove troviamo calendari di serial killer e storie di moltissime persone che hanno commesso numerose atrocità. A giudicare dalla sola esistenza del sito non sono poi rarissimi i cultori dell’omicidio e neanche i malati di mente…
Insomma, per farla breve, possiamo osservare come una grave carenza nel rapporto con il genitore omologo può condurre ad una totale anestesia del sentimento (altrimenti non si spiega la freddezza nell’uccidere e nell’osservare le sofferenze altrui nella più totale indifferenza) e, nelle situazioni peggiori al verificarsi di tremendi delitti.
Detto questo possiamo pertanto anche affermare che queste persone sono certamente colpevoli di orrendi delitti, ma anche vittime della loro malattia, una malattia che purtroppo ha gravissime conseguenze su numerosi innocenti che non hanno alcuna possibilità di scampo.
Ma veniamo adesso al nostro termine di paragone: Silvio Berlusconi.
La grande personalità di Luigi Berlusconi ha inciso profondamente nella vita del fondatore della Fininvest. Per Silvio è stato un genitore, un consigliere, un amico. E fino all’ultimo giorno è stato al suo fianco.
Padre severo, ma affettuoso e poi amico e consigliere, Luigi Berlusconi è una presenza centrale nella vita di Silvio …”
E anche quando Silvio dedica la vittoria del suo Milan al padre leggiamo Silvio che ricorda quando andava con il papà allo stadio (PAG.19):
“E finalmente, la mano nella mano, eccoci là all’entrata dello stadio, l’Arena o San Siro, e io a farmi piccolo piccolo per profittare di un solo biglietto in due”
In questo passaggio vediamo che Silvio, mano nella mano con il papà, confessa ingenuamente di avere appreso da lui l’arte della furbizia. Quel “farsi piccolo piccolo” che gli permette di non pagare il biglietto.
Possiamo chiederci oggi quanti biglietti non ha pagato e non vuole pagare il nostro “buon” Silvio facendosi piccolo piccolo?
E tra questi conti che Silvio non vuole pagare, ci sono morti altrettanto inutili? Morti per incuria? Morti per distrazione? Morti di cui i responsabili vengono coperti? Morti che hanno procurato denaro a chi poi si è dedicato a ricostruire le vite distrutte? Morti che nessuno può imputare al nostro Silvio, di cui neanche lui si sente colpevole.
Stefano Cucchi, per esempio. Quando morì il suo ministro La Russa dichiarò: ” di una cosa sono certo: del comportamento assolutamente corretto da parte dei carabinieri in questa occasione”.
E Berlusconi dov’era? Si faceva piccolo piccolo e non pagava il biglietto.
Quante storie possiamo raccontare dove abbiamo avuto morti anonime, ma Silvio mai nessuna responsabilità, nessuna complicità, niente, mai niente di niente. Ne esce sempre immacolato.
Ma allora dove sta la differenza?
Andres Breivik è una vittima malata che ha ucciso perché non ha trovato altra soluzione alla sua follia.
Silvio Berlusconi ha avuto una relazione forte con suo padre, a quanto afferma lui stesso, e pertanto ha una forte personalità e potrebbe anche scegliere di non uccidere, di non essere complice, di non coprire i misfatti e le morti inutili del nostro paese, ma non lo fa.
Lui si fa piccolo piccolo, ha imparato così a farla franca. Silvio ha la libertà di scelta e sceglie male. Ha tutte le sue responsabilità, ma riesce sempre a nasconderle grazie al suo potere.
Breivik fa tanta rabbia e tanta pena, e comunque si trova in galera. Egli ha ucciso senza pietà, accecato da un delirio.
Berlusconi fa tanta rabbia, ma a me non fa alcuna pena. Fa soltanto orrore.
Egli uccide senza mostrare a nessuno la propria responsabilità, probabilmente neanche a se stesso.
Infatti nessuno lo accusa, a parte qualche parente di povera gente uccisa “dal Fato”.
Domenica 22 Maggio ad Ascoli Piceno alcuni ragazzi hanno lanciato l’iniziativa degli abbracci gratis, o Free Hugs.
Ho partecipato molto volentieri diffondendo anche un personale bigliettino:
L’azione nel centro cittadino di Ascoli Piceno ha suscitato un grande consenso. Quasi tutte le persone a cui è stato offerto un abbraccio lo hanno accettato con piacere, ricambiandolo affettuosamente e spesso commentando: “Bravi! Bravi!”
Il sorriso ha sempre accompagnato sia i ragazzi sia le persone che hanno avuto la fortuna di ricevere uno o, il più delle volte, numerosi abbracci.
Sembrava veramente di vedere passare una ventata che regalava serenità e gioia a tutti, anche se, magari, soltanto per pochi attimi.
Sono rimasto particolarmente colpito dall’approvazione delle persone anziane, sempre entusiaste.
Quattro signore non proprio giovanissime, già abbondantemente abbracciate da quasi tutto il numeroso gruppo, hanno “preteso” un caloroso abbraccio anche da me …
Questi ragazzi smentiscono il luogo comune che descrive i giovani come insensibili e indifferenti a tutto e a tutti.
I giovani hanno invece una grande energia, e una grande voglia di esprimere la loro affettività.
Nonostante un mondo che propone quasi esclusivamente “consigli per gli acquisti”.
Mi ha meravigliato invece il fatto che fossi l’unica persona oltre i 20 anni!
Sono stato accolto dal gruppo di ragazzi con la più grande semplicità.
Grazie ragazzi ! Siete grandi !
L’abbraccio ha una grande funzione sociale e terapeutica. Anche all’interno della famiglia è spesso trascurato. Soprattutto durante l’adolescenza si tende ad abbandonare il contatto fisico con i genitori, come fosse un segnale per manifestare la propria indipendenza.
Mentre è vero tutto il contrario: maggiore è la capacità di abbracciare i propri genitori, soprattutto l’omologo, maggiore è la propria reale autonomia.
Il rifiuto o il disamore per l’abbraccio dei genitori rischia di rendere difficile e impacciato anche il contatto fisico tra i coetanei. Anche i genitori, a volte, si “dimenticano” di coccolare un po’ i loro figli “ormai diventati grandi”.
« Il risultato è di grandissimo interesse politico. La battaglia è stata dura per i grossi interessi in campo »
Oggi è un dirigente d’azienda. E ha scritto un libro in difesa dell’energia nucleare.
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Durante una conversazione, di tanto in tanto ci si tocca il viso, ma all’approssimarsi del tentativo di mentire il numero delle volte in cui avvengono questi toccamenti aumenta in maniera significativa. E tra questi toccamenti autoreferenziali segnaliamo: lo sfregarsi il mento, il grattarsi un sopracciglio, il toccarsi il naso, l’accomodarsi i capelli, e il coprirsi la bocca. In particolare due di queste azioni diventano frequentissime:
* il toccarsi il naso
* il coprirsi la bocca.
Per quanto invece riguarda il toccarsi il naso sembra ci sia una duplice spiegazione:
1.la mano si alza per nascondere “la menzogna” (il mentitore), ma viene deviata da quella parte del cervello che non può permettere che la copertura risulti così evidente; così, trovandosi il naso nelle vicinanze più prossime, la mano allunga il movimento giusto di quel poco, riuscendo nella sua funzione originaria senza svelarsi apertamente;
2.all’approssimarsi della menzogna un lieve aumento di tensione produce piccoli mutamenti fisiologici, alcuni dei quali agiscono sulla sensibilità del rivestimento interno della cavità nasale, provocando una sensazione di leggero (spesso inconsapevole) prurito, inducendo la mano (spesso in modo inconsapevole) a sfregare il naso.
“I tic consistono nell’esecuzione improvvisa ed imperiosa, involontaria ed assurda, di movimenti ripetuti che rappresentano spesso una caricatura di un atto naturale”. Tra i più frequenti vi sono quelli a carico del viso come l’aggrottamento delle sopracciglia, smorfie, sbattere le palpebre, movimenti del mento, senza dimenticare il sollevamento delle spalle o i tic respiratori come il tossicchiare, lo storcere o il soffiare il naso. Normalmente l’esecuzione del tic nervoso rappresenta il raggiungimento di un sollievo subito dopo un forte vissuto di disagio o ansia. Durante tali situazioni, in queste persone sono spesso presenti sensazioni di vergogna o di colpa per affrontare le quali adottano la tattica di scaricare la tensione con una condotta motoria afinalistica.”
“L’uso della modalità di natura economica in luogo della modalità di natura simbiotica riduce pertanto le possibilità espressive della persona allorché, per esempio, sostituisce all’amicizia la seduzione, all’amore l’erotismo, alla fiducia il controllo, all’assunzione di responsabilità l’esercizio del potere. La visione della realtà, non più equilibrata su due versanti, diventa prevalentemente economica. Il concetto stesso di sentimento si perde e si confonde con quello di emozione, in quanto l’investimento affettivo costante e profondo è precluso, e la sola esperienza disponibile è quella della risposta emotiva immediata ed effimera.
Si comprende allora perché mai una tale situazione produca atteggiamenti ripetitivi, rigidi e stereotipati, quelle “strutture di sopravvivenza”, dotate di comportamenti peculiari – cui si fa riferimento nella letteratura scientifica, per descrivere le varie forme di malattia mentale – che consentano di tenere a bada i sentimenti, e tuttavia di continuare a rispondere alle esigenze quotidiane.”
Ho la vaga sensazione che l’illuminazione sulla Via di Damasco che ha convertito il nostro Chicco Testa all’apologia dell’energia nucleare renda parecchi soldi, ma sia alquanto dispendiosa in termini di salute.
Il nostro mondo è pieno di diseguaglianze, ricchi e poveri sono lontani anni luce per la differenza di beni posseduti. Alcuni muoiono di fame mentre altri nuotano nell’oro.
Ma, a parte gli eccessi, che dovrebbero sempre essere eliminati, vista l’assurdità della morte di bambini colpevoli soltanto di essere nati nella parte sbagliata del mondo, in qualcosa siamo tutti uguali.
Le nostre giornate sono per tutti di 24 ore. Il tempo passa e nessuno diventa più giovane.
Una banalità, certo, ma quante volte ci soffermiamo a pesare il nostro tempo?
Quante volte ci impegniamo veramente a difendere il tempo che possiamo destinare a noi stessi, ai nostri affetti, ai nostri interessi?
Tutti dobbiamo dedicare alcuni tempi fisiologicamente alla sopravvivenza: dormire, bere, mangiare, urinare e defecare sono attività cui nessuno, ma proprio nessuno, può rinunciare.
E già dedicarsi a queste attività con un certo gusto, piuttosto che come allo svolgimento di pure necessità, aiuta il nostro benessere.
Potremmo aggiungere anche lavarsi, e lavare i denti …
Anche questo può essere piacevole!
Anche il luogo dove viviamo andrebbe mantenuto pulito e ordinato, già più noioso tuttavia abitare in un luogo accogliente è anch’esso un piacere (casa mia casa mia, per piccina che tu sia…)
Diciamo che, ad andar bene, 10 ore al giorno sono piene per queste attività essenziali.
Ne restano 14! Neanche poche …
Se 8 ore servono per lavorare magari altre 2 o 3 ore servono per raggiungere il posto di lavoro.
E già questa è una grande fregatura, perché questo è tempo che nessuno ci paga, anzi dove sosteniamo spese per spostarci, oltre ai disagi dovuti ad un traffico spesso congestionato, costoso e disagevole.
Una organizzazione migliore ed il telelavoro potrebbero aiutarci, anche perché sembra che in fatto di tempo libero gli italiani siano gli ultimi in Europa …
E forse qualcosa si sta muovendo, con l’aiuto del governo (strano, ma sembra vero) e il beneplacito di tutti i sindacati (uuuhhh!).
Allora ben venga il maggiore spazio per noi stessi e per i nostri affetti, purché non venga buttato via davanti alla TV…
In effetti sembra che quello che ci rubano, che cercano di prenderci a nostra insaputa sia proprio il tempo, il NOSTRO TEMPO.
Questo tempo LIBERO, se non stiamo più che attenti, in realtà viene ingabbiato nelle abitudini che ci rimbambiscono: la TV o la droga (intesa come sigarette, alcool e altri stupefacenti) o lo sport inteso come tifo (soprattutto calcistico).
La cultura, l’arte, la pratica sportiva, l’amore, l’affetto hanno magari meno spazio nella nostra vita della pubblicità (che subiamo passivamente), di you tube, delle partite di calcio trasmesse in TV, del sesso pubblicizzato o venduto, delle avventure dei reality show o anche di Facebook e Internet che ci portano a volte a naufragare senza meta più che a navigare!
Insomma, teniamoci il nostro tempo e non lasciamoci fregare stupidamente!
Pretendiamo di avere il lavoro vicino, o i mezzi di trasporto efficienti, o di lavorare a casa.
Cerchiamo di avere attenzione per coloro che ci sono vicini, con cui abbiamo un rapporto di amore e di amicizia. Non finiamo per considerarli come una parte scontata del nostro quotidiano.