Alcune similitudini sono curiose!
Prodi a Porta a Porta nel Settembre 2007 disse:
“Gli italiani non sono meglio della classe politica che li rappresenta”
Un concetto semplice semplice, non c’è che dire.
Ma in fondo non fa che riprendere un concetto già espresso da Paolo Guzzanti il 24 Agosto 2007 nel suo blog:
Nell’articolo Guzzanti, tra l’altro scrive:
“Da sempe gli italiani vogliono violare le regole degli altri paesi, averne di proprie più privilegiate – andare in pensione prima di tutti gli altri nel mondo ma gridare allo scandalo per il vitalizio dei vecchi parlamentari, per esempio – mangiare il pane dei propri figli, appendere Mussolini a piazzale Loreto dopo averlo leccato e osannato, sputare monetine contro Craxi, fingere che la mafia, la camorra e la ndrangheta, il parassitismo e l’assenteismo dalle scuole, dai posti di lavoro, nei ministeri e nelle regioni anche nordiche, siano vizi della casta, dei padroni del vapore, non del popolo italiano.”
e ancora:
“No, miei cari: mafia camorra indrangheta assenteismo evasione fiscale sono il Dna italiano.
I grandi evasori? Siete voi tutti quando comperate una casa e denunciate un valore e un prezzo falso.
La camorra comincia quando si ammicca dal salumiere per passare davanti a chi c’è prima.” ( … )
“La casta, signore e signori, siete voi che oggi sputate fiele leggendo la nuova bibbia in cui si mostrano alcuni dei perversi effetti del vizio del paese, degli italiani, di questo popolo tronfio, piagnucolante, tendenzialmente assassino, mentitore, albertosordiano (nel senso dei personaggi di Sordi: Sordi era un eroe che li ha messi in piazza), sempre pronto a vedere le pagliuzze altrui e nascondendo la trave propria, ipocrita, moralmente discutibile, prepotente, quasi sempre codardo, ignorante come una capra ma supponente.”
Come dargli torto?
Ma infine arriva Paolo Barnard che il 18 Maggio 2008 scrive più o meno la stessa cosa:
L’informazione è noi.
Esordisce così:
“Di chi è colpa? Non è colpa di Silvio Berlusconi, di Romano Prodi, di Cicchitto, di Casini, di Caltagirone, e soci. Non è colpa della Casta, né di quella dei giornali coi milioni di euro di prebende, e non è stata colpa di Ingrao, Forlani o Craxi. Non è la Mafia, non sono le logge dei venerabili, né l’Opus Dei, non è Confindustria o la lobby bancaria. La colpa è nostra. Punto. L’informazione che abbiamo è quella che noi italiani vogliamo.”
e continua così:
”
Guardiamoci. Siamo un popolo che si divide inesorabilmente in ‘parrocchie’ o ‘mafie’. Se non siamo mafiosi, siamo parrocchiali, una delle due, non si fugge. Cioè, se non ci aggreghiamo per colludere in affari criminosi di vario grado, col loro corredo di atrocità, truffe, omertà, insensibilità per la sofferenza altrui, adulazione del potente, piacere nell’abuso del potere (dall’associazione per delinquere di stampo narcomafioso o bancario, alla cordata assicurazione-pretura-avvocati-grande policlinico per tacitare un’operata di cancro nella mammella sbagliata; dal patto trasversale ipermercati-grossisti per fare cartello sui prezzi truffando i cittadini, al consapevole risucchio dei pensionati in difficoltà nelle più ignobili spirali di indebitamento da parte di finanziarie da galera ecc.), noi italiani ci raggruppiamo in parrocchiette di ‘compagni di merende’, litigiose, esclusive proprio nel senso di escludenti, solo formalmente aperte ma in realtà a strettissimo raggio, nemiche giurate della libertà di pensiero, insomma consociative ma sempre travestite da qualcos’altro (e questo dal Corriere della Sera al periodico universitario, passando per le redazioni televisive, per i centri sociali, ONG, blog più o meno noti, gruppi online, comitati civici, ONLUS ecc.). Come si può facilmente immaginare, il pensare liberamente e la facoltà di criticare a 360 gradi non sono compatibili con gli interessi né delle mafie né delle ‘parrocchie’. Ma sono proprio il libero pensiero e la critica senza barriere le componenti fondamentali della libera informazione al sevizio dei cittadini. E allora?
In altre parole, noi italiani la libertà di informare non la vogliamo, e quando si affaccia sulla soglia della nostra ‘mafia’ o ‘parrocchia’ la odiamo e la cacciamo con singolare ferocia.”
Hanno tutti ragione, certo! E questa sera farò più fatica a guardarmi allo specchio e a dormire sereno. Oppure no, perché tanto se non cambi tu perché dovrei cambiare prima io?
Ci resta forse soltanto da ritrovarci nelle nostre piazze virtuali, i blog, che corrispondono ai caffè di una volta, ad azzuffarci bonariamente con il carattere del tutto italiano che produce il mal costume come ben descritto oltre un secolo fa dal buon Giacomo Leopardi …
Discorso sopra lo stato presente
dei costumi degl’Italiani
(…)
Primieramente dell’opinione pubblica gl’italiani in generale, e parlando massimamente a proporzion degli altri popoli, non ne fanno alcun conto. Corrono e si ripetono tutto giorno cento proverbi in Italia che affermano che non s’ha da por mente a quello che il mondo dice o dirà di te, che s’ha da procedere a modo suo non curandosi del giudizio degli altri, e cose tali. Lungi che gl’italiani considerino, come i francesi, per la massima delle sventure la perdita o l’alterazione dell’opinion pubblica verso loro, e sieno pronti, come i francesi ben educati, a soffrire e sacrificar qualunque cosa piuttosto che incorrere anche a torto in questo inconveniente; essi non si consolano di cosa alcuna più di leggieri che della perdita eziandio totale (giusta o ingiusta che sia) dell’opinione pubblica, e stimano ben dappoco chi pospone a questo fantasma i suoi interessi e i suoi vantaggi reali (o quelli che così si chiamano nel linguaggio della vita), e chi non si cura d’incorrere per amor di quello in danni o privazioni vere, d’astenersi da piaceri, ancorché minimi, e cose tali. Insomma niuna cosa, ancorché menomissima, è disposto un italiano di mondo a sacrificare all’opinion pubblica, e questi italiani di mondo che così pensano ed operano, sono la più gran parte, anzi tutti quelli che partecipano di quella poca vita che in Italia si trova. Non si può negare che filosoficamente e geometricamente parlando, essi non abbiano assai più ragione dei francesi e degli altri che pensano e operano diversamente, e che per conseguenza in questa parte essi non sieno, quanto alla pratica, assai più filosofi. Al che li porta lo stato delle cose loro, nel quale in realtà l’opinione pubblica, per la mancanza di società stretta, pochissimo giova favorevole e pochissimo nuoce contraria, e la gente per quanta ragione abbia di dir male o bene di uno, di pensarne bene o male, prestissimo si stanca dell’uno e dell’altro; si dimentica affatto delle ragioni che aveva di far questo o quello, benché certissime e grandissime, e torna a parlare e pensare di quella tal persona con perfetta indifferenza, e come d’una dell’altre.
( … )
Per tutto si ride, e questa è la principale occupazione delle conversazioni, ma gli altri popoli altrettanto e più filosofi di noi, ma con più vita, e d’altronde con più società, ridono piuttosto delle cose che degli uomini, piuttosto degli assenti che dei presenti, perché una società stretta non può durare tra uomini continuamente occupati a deridersi in faccia gli uni e gli altri, e darsi continui segni di scambievole disprezzo. In Italia il più del riso è sopra gli uomini e i presenti. La raillerie il persifflage, cose sì poco proprie della buona conversazione altrove, occupano e formano tutto quel poco di vera conversazione che v’ha in Italia. Quest’è l’unico modo, l’unica arte di conversare che vi si conosca. Chi si distingue in essa è fra noi l’uomo di più mondo, e considerato per superiore agli altri nelle maniere e nella conversazione, quando altrove sarebbe considerato per il più insopportabile e il più alieno dal modo di conversare. Gl’Italiani posseggono l’arte di perseguitarsi scambievolmente e di se pousser à bout colle parole, più che alcun’altra nazione. Il persifflage degli altri è certamente molto più fino, il nostro ha spesso e per lo più del grossolano, ed è una specie di polissonnerie, ma con tutto questo io compiangerei quello straniero che venisse a competenza e battaglia con un italiano in genere di raillerie. I colpi di questo, benché poco artificiosi, sono sicurissimi di sconcertare senza rimedio chiunque non è esercitato e avvezzo al nostro modo di combattere, e non sa combattere alla stessa guisa. Così un uomo perito della scherma è sovente sconcertato da un imperito, o uno schermitore riposato da un furioso e in istato di trasporto. Gl’Italiani non bisognosi passano il loro tempo a deridersi scambievolmente, a pungersi fino al sangue. Come altrove è il maggior pregio il rispettar gli altri, il risparmiare il loro amor proprio, senza di che non vi può aver società, il lusingarlo senza bassezza, il procurar che gli altri sieno contenti di voi, così in Italia la principale e la più necessaria dote di chi vuole conversare, è il mostrar colle parole e coi modi ogni sorta di disprezzo verso altrui, l’offendere quanto più si possa il loro amor proprio, il lasciarli più che sia possibile mal soddisfatti di se stessi e per conseguenza di voi.
Sono incalcolabili i danni che nascono ai costumi da questo abito di cinismo, benché per verità il più conveniente a uno spirito al tutto disingannato e intimamente e praticamente filosofo, e da tutte le sovraespresse condizioni e maniere del nostro modo di trattarci scambievolmente. Non rispettando gli altri, non si può essere rispettato. Gli stranieri e gli uomini di buona società non rispettano altrui se non per essere ripettati e risparmiati essi stessi, e lo conseguono. Ma in Italia non si conseguirebbe, perché dove tutti sono armati e combattono contro ciascuno, è necessario che ciascuno presto o tardi si risolva e impari d’armarsi e combattere, altrimenti è oppresso dagli altri, essendo inerme e non difendendosi, in vece d’essere risparmiato. È anche necessario ch’egli impari ad offendere. Tutto ciò non si può conseguire prima che uno contragga un abito di disistima e disprezzo e indifferenza somma verso se stesso, perché non v’è cosa più nociva in questo modo di conversare che l’esser dilicato e sensibile sul proprio conto. Oltre che allora tutti i ridicoli piombano su di voi, si è sempre timido e incapace di offendere per paura di non soffrire altrettanto e provocarsi maggiormente gli altri, incapace di difendersi convenientemente perché la passione impedisce la libertà e la franchezza del pensare e dell’operare e l’aggiustatezza e disinvoltura delle difese. E basta che uno si mostri sensibile alle punture o abitualmente o attualmente perché gli altri più s’infervorino a pungerlo e annichilarlo. Oltre di ciò in qualunque modo il vedersi sempre in derisione per necessità produce una disistima di se stesso e dall’altra parte un’indifferenza a lungo andare sulla propria riputazione. La quale indifferenza chi non sa quanto noccia ai costumi? E certo che il principal fondamento della moralità di un individuo e di un popolo è la stima costante e profonda che esso fa di se stesso, la cura che ha di conservarsela (né si può conservarla vedendo che gli altri ti disprezzano), la gelosia, la delicatezza e sensibilità sul proprio onore. Un uomo senz’amor proprio, al contrario di quel che volgarmente si dice, è impossibile che sia giusto, onesto e virtuoso di carattere, d’inclinazioni, costumi e pensieri, se non d’azioni.
Io credo che la nostra incapacità di collaborare, di aiutarci reciprocamente sia molto penalizzante. Siamo sempre pronti a rimbeccarci, a escludere l’altro e a sentirci migliori l’uno dell’altro. Incapaci di essere gruppo, di costruire in gruppo, di elaborare insieme.
Ma se qualcuno litiga, se c’è una gara, una corsa, una competizione siamo sempre pronti e curiosi di sapere chi vince e chi perde.
E’ una logica che porta a perdere in tanti con qualcuno che se la ride …
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