Il ricordo della violenza che imperversava a Milano, dove vivevo quando ero ragazzino alle volte mi perseguita.
Parlo degli anni 1971, ’72 e ’73.
Allora ero un militante del Movimento Studentesco e niente era apparentemente più importante, nella mia vita, della politica. Avevo 13 anni, quando ho cominciato, nella fine del ’70 e 17 quando ho smesso, nel ’74.
Allora uscire di casa, vestito con l’eskimo verde, come ero io, era veramente pericoloso. Milano era percorsa da bande estremiste, che si riconoscevano a vista, si puntavano e si scontravano quasi quotidianamente.
Eravamo praticamente tutti in divisa, una divisa non dichiarata, ma evidente.
I compagni avevano l’eskimo, appunto, o il loden, calzavano le clarks, i jeans capelli spesso lunghi e barbe spesso incolte, o baffoni alla Stalin …
I fasci avevano le barrows ai piedi (scarpe a punta eleganti) e i ray ban a goccia come occhiali fissi. Giravano spesso sui vespini 50 o il “primavera” 125.
Poi c’erano le zone controllate dalle diverse bande.
L’Università Statale era la roccaforte dei Rossi, mentre Piazza San Babila era il luogo dei Neri.
Da notare che tra i due punti vi sono più o meno 300 metri di distanza, una zona di confine dove poteva accadere di tutto. Praticamente Corso Europa, che finisce in San Babila da una parte e in Via Larga, a ridosso della Statale dall’altra segnava un confine mai dichiarato ma che era meglio non varcare, quantomeno con un certo abbigliamento.
Ricordo le rare volte che ero costretto a passare da quella zona il batticuore e la paura che avevo, come se, da un momento all’altro potessi essere aggredito.
Poi c’erano le varie piazze e piazzette di quartiere, magari con un lato della piazza nero e l’altro rosso.
Normalmente i compagni avevano una chiave inglese sotto la giacca e i fasci il coltello in tasca.
Le aggressioni dieci contro uno erano all’ordine del giorno.
Si organizzavano i “cucchini” cioè aspettare la gente sotto casa e riempirla di botte …
Il sabato pomeriggio poi era sempre “caccia aperta” o di qua o di là qualcuno all’ospedale ci finiva quasi sempre.
Ogni mattina che paura uscire di casa! E fare quei 200 metri tra la fermata del tram e la scuola …
Eppure sono stato fortunato. Per una serie di casualità non ho mai dato una botta a nessuno e non le ho mai prese!
Diciamo che mi è andata bene.
Ma in questo clima l’ideologia che ci sosteneva era così importante? Nel mio vissuto di allora sì, anche se io ero un po’ particolare. Partecipavo alle attività del Movimento, ma i miei due migliori amici erano due fascisti. Soprattutto durante il primo anno di liceo. Poi i rapporti, a causa delle divisioni create dalla politica, si sono deteriorati.
Anche in estate, del resto, lontano da scuola, nella località marittima dove trascorrevo le vacanze con i miei genitori, nella scelta degli amici non facevo certo una selezione in base al colore della fede politica!
Si stava tutti insieme e si pensava soltanto a divertirsi! La politica era solo un ricordo scolastico. Era come se si andasse in vacanza anche da quella!
Ma la violenza, in tutto questo attivismo politico, che valore aveva? Aggiungeva il pepe a tutte le situazioni! Ogni incontro era un brivido. Era come vivere in continuazione in un film di Hitchcock.
Uscivi di casa e ti chiedevi: riuscirò a tornare a casa vivo? Quale sensazione avrebbe potuto farti sentire più adulto? Quando tutto si era tranne che adulti! Poi il gruppo, i collettivi studenteschi, i ruoli all’interno dei collettivi, le gerarchie che piano piano si scalavano, i capi e i capetti che si guardavano con ammirazione. Tutto quanto contribuiva a creare un mito e una mitologia. Con tutti gli aspetti segreti dell’organizzazione, le cose che non tutti sapevano ma che sapevano tutti: chi aveva menato di qua e chi di là, tutte cronache del pronto soccorso …
Dopo quegli anni molte cose sono cambiate. Direi che da quei giovani sono iniziate diverse strade. Qualcuno ha poi fatto il salto verso la lotta armata, per fortuna non molti. Altri sono tornati a fare i bravi ragazzi. Molti sono passati al consumo di droghe e ad un altra forma di essere “diversi” rispetto alla gente comune, a coloro che nel mondo dei ragazzi di allora erano i “regolari”, cioè quelli che si alzano la mattina e vanno a lavorare.
Erano anni in cui le influenze musicali erano importanti, e la musica diventava occasione per consumo di droga collettivo, soprattutto hashish, ma anche tutto il resto, dall’ LSD alla coca e all’eroina.
L’eroina è diventata in breve una piaga sociale. La violenza è poi diventata il piccolo scippo per procurasi la dose, il furto dell’autoradio o della macchina. La piccola delinquenza quotidiana, ma motivata quasi sempre dalla necessità imposte dall’assuefazione. Poi con la diffusione dell’AIDS la siringa sporca si è trasformata in un arma letale da utilizzare come minaccia! Che orrore!
Cosa ci rimane oggi di quegli anni di violenza?
Ben poco direi! Soltanto LA VIOLENZA.
La violenza non ha più ideologia, non ha più giustificazioni! Nessuno propaganda più la violenza come sistema per mutare la società! Bé qualche volta lo fa Bossi, che dice che si imbracceranno i fucili …, ma fa più sorridere che altro, almeno speriamo.
Eppure le guerre non sono certo finite e abbiamo assistito impotenti al crollo delle torri gemelle, forse l’atto più drammatico cui il mondo ha mai assistito in diretta dopo le esplosioni delle bombe atomiche in Giappone durante la Seconda Guerra Mondiale.
Ma oggi la violenza per i giovani è gioco! Raramente ha conseguenze tragiche, anche se quando avviene sembra che chi la compie non si renda neanche conto delle conseguenze di ciò che ha commesso.
Il Wrestling è ormai quasi passato di moda, anche se ha diffuso una cultura di violenza acrobatica ma piena di sangue “dal vivo” …
In questo aspetto le immagini di violenza che circolano nel mondo virtuale, con la tv e con internet, hanno un peso non indifferente. Reale e virtuale spesso si confondono e la sensazione di sentirsi protagonisti che si prova in un videogioco può essere ricercata anche nella realtà.
Direi che un passo avanti è stato fatto: la violenza dell’ideologia è sconfitta. Non c’è più, o quasi, una ideologia che fa della violenza la propria bandiera!
Tuttavia c’è un linguaggio molto violento, abbiamo immagini molto violente, abbiamo violenza sulle donne e sugli animali, sui deboli in generale.
Abbiamo casi di violenza cieca e immotivata, stupida e inutile, ma mai sostenuta da una ideologia, sempre più emarginata dalla ragione e da una società che vuole crescere piuttosto che combattersi.
Ma allora? Che fare con questo residuo di violenza?
Io penso che occorra gestirla, farne gioco civile. Porre limiti ma usarla per divertimento.
Se guardiamo due o tre cuccioli di cane o di gatto o di altri mammiferi spesso li vediamo lottare tra di loro, mordicchiarsi, graffiarsi e comunque aggredirsi. Non si fanno quasi mai male! E’ uno spasso osservarli.
Pensare che i nostri ragazzi non abbiano di questi impulsi è assurdo. Val la pena giocarci e cominciare a considerare l’aggressività come una parte di ognuno di noi che si può gestire. Come la sessualità.
Altro aspetto della crescita che preoccupa molto chi cresce. Aggressività e affettività sono comunque ancora oggetto di censura nella nostra società. Ai ragazzi resta difficile parlarne. Non lo fa la scuola e spesso anche i genitori sono imbarazzati.
Invece io credo che organizzare delle “risse scolastiche”, ovviamente rispettando delle norme di sicurezza evitando che qualcuno si faccia male, in cui i ragazzi possono divertirsi, esprimendo la propria aggressività senza farsi male, farebbe un gran bene alla loro convivenza.
Assurdo? E allora perché i ragazzi filmano in continuazione episodi di piccole risse tra di loro? Non è forse un gioco?
Creano addirittura dei club e si ritrovano per prendersi a cinghiate …
Certo, c’è una identità di destra nella cinghiamattanza, ma sembrano più i richiami alla violenza fine a se stessa, che non all’ideologia. Anche se gli adepti parlano di una “danza macabra” che “non è odio cieco, eccesso sadico, escamotage per scatenare masochismo represso” ma “in ultima istanza (aguzza la vista) è un atto d’amore…”
Anche il calcio, con i suoi riti domenicali, è privo di qualsiasi ideologia, e anche il tifo sembra soltanto una scusa per soddisfare gli istinti aggressivi.
Ma aggressività e amore sono gli aspetti maggiormente censurati dalla cultura. E sono anche le cose che maggiormente attraggono, fatalmente.
La trasgressione è un richiamo troppo forte per gli adolescenti che devono superare le prove di iniziazione per accedere al mondo degli adulti.
In fondo gli adulti danno molti esempi di un mondo inaccessibile ai giovani. Soltanto l’esistenza di film VIETATI AI MINORI DI 18 ANNI, sembra un richiamo irresistibile per un mondo adulto dominato dalle PROIBIZIONI.
Ecco che i ragazzi, per diventare adulti, devono essere capaci di accedere al PROIBITO. Ciò che è proibito, nella fantasia dei ragazzi, non lo è perché dannoso, ma soltanto perché riservato agli adulti che possono goderne LIBERAMENTE.
Se ne deduce che tutte le proibizioni, relative al sesso e alla violenza, non fanno altro che eccitare gli animi.
Che fare allora?
Potremmo parlare di sesso molto più liberamente, rendere noiosi, come in realtà sono, tutti i film pornografici, e giocare con i ragazzi e la loro aggressività, un aspetto naturale e non pericoloso, di per sé.
Ai ragazzi piace giocare.
E perché mai gli adulti non dovrebbero aiutarli a giocare? Solo reprimere?
La repressione, senza alcuna comprensione, accompagnata soltanto dalla condanna, perché non si fa, può portare alla violenza, perché la repressione è già di per sé un atto violento.
E’ meglio condividere le esperienze con i ragazzi, e vivere vicino a loro, piuttosto che lontani, ipercritici e repressivi.
E’ per questo che con i miei figli faccio a botte quasi tutti i giorni …
O no?
🙂
tra la violenza cieca e immotivata e stupida di oggi e quella degli anni 70 non vedo alcuna differeza, non è che massacrare un’altra persona in nome di un’ideologia perchè non la pensa come te sia meglio….
Infatti Tiziana, massacrare un’altra persona, o un animale, è sempre una cosa stupida.
Se rileggi l’articolo, come ho fatto io, scopri che affermo che la violenza, privata della giustificazione ideologica, oggi è lì a presentarsi con tutta la sua inutilità.
Allora credo che potremo superarla, soltanto se saremo in grado di riconoscerla come parte di noi.
E’ semplice condannare la violenza a parole, ma in realtà poi le leggi emettono condanne che sono violente, fino ad arrivare in alcuni casi alla pena di morte, ancora in vigore in moltissimi stati, non ultimi gli Stati Uniti, che passano per un esempio mondiale di civiltà.
E allora?
Molto spesso la violenza si genera per una esplosione di “rabbia repressa”.
Certo, è un luogo comune. Ma noi viviamo in un mondo dove esprimere le propria rabbia non è mai permesso, è sempre considerato il risultato di una “cattiva educazione”
Ma che fine fa tutta la rabbia che non esprimiamo?
Bisogna fare molta attenzione a ingoiare le propria rabbia, perché può diventare malattia o scatenare forme di violenza che poi sono davvero difficilmente controllabili.
Il tema merita comunque di essere approfondito.
Grazie per la tua visita!
Ciao
Non ho, purtroppo o per fortuna, vissuto gli anni ’70/’80 ma credo che la violenza di allora (avesse motivi “nobili” e “nobilitanti” ovvero difendere l’Idea e chi la pensava come te, compagno o camerata che fosse (parlo di violenza in generale, senza connotarla come SOLO “rossa” o SOLO “nera”. Oddio il tema meriterebbe una parentesi ben più ampia su chi ha iniziato e chia ha più subito ma lasciamo perdere che non è questo il tema dell’articolo nè del mio commento). Per questo oggi mi incazzo quando leggo di risse per un maledettissimo parcheggio o per altrettanto futili motivi fuori dalle discoteche perchè trovo che la “nobiltà” della violenza sia venuta meno. Sul fatto che la rabbia dei giovani d’oggi venga repressa sono d’accordissimo (anche se esistono mille sport che permettono di incanalarla e scaricarla, penso alle decine di differenti arti marziali ed alla boxe). Però ritengo che questa rabbia stia aumentando a causa della mistificazione che i mezzi di comunicazione ne fanno. Mi tornano in mente le scene del G8 di Genova (dove si è parlato solo della violenza dei black bloc e della polizia mentre non si è minimamente accennnato alle istanze dei No global pacifici) o la costante accusa di razzismo nei confronti dei movimenti di destra o di quartiere che esprimono legittime preoccupazioni per l’inarrestabile (ma ne siamo certi?) flusso di clandestini che sbarca sulle nostre coste. Penso a coloro che denunciano come “aggressione” anche gesti in un certo senso goliardici (ad esempio le buste con fazzoletti sporchi di feci spedite ad un politico noto per dire una scemenza dietro l’altra e di cui non farò il nome). Sull’organizzare delle “risse controllate” credo di poter affermare, senza timore di smentita, che sia una stupidaggine abnorme perchè una rissa non è mai controllabile, anzi….
Grazie Ale, ma la capacità di gestione dell’aggressività è molto importante nello sviluppo di ognuno di noi. Agli educatori manca quasi sempre una capacità di ascolto ed una capacità di intervento, non per colpa loro ma per mancanza di una formazione specifica dal punto di vista psicologico.
Quanto alle risse controllate sono possibili eccome, ovviamente in un ambito protetto e ben gestito.
Ti rimando ad un esempio che è il primo che ho trovato usando google:
http://www.psicodramma.it/wp-content/uploads/sites/33/2013/04/pedrocchi.pdf
A pagina uno leggi, a proposito di bambini…
“Esempio: Gruppo dei piccoli – Sessione n. 25 – Federico 6 anni
I bambini stanno giocando al gioco della lotta: tutti hanno un
“bastone” (lungo pezzo di gommapiuma) tranne uno il quale deve
cercare di scappare dai coetanei che tentano di colpirlo. Federico
partecipa con entusiasmo all’attività quando è nel ruolo di colpitore
ma quando è “vittima” non riesce in alcun modo a proteggersi, inizia
a piangere e subisce passivamente, non riesce ad accettare l’aiuto
offerto dagli ausiliari. La sessione si conclude con gli operatori che
fanno da specchio ad ogni bambino riguardo a come ha giocato i
ruoli proposti. Lo staff terapeutico concorda nel lasciare che il
piccolo sperimenti fino in fondo questi sentimenti di frustrazione. Il
bambino esce arrabbiatissimo, ha le lacrime agli occhi e non
risponde alle domande della madre che vuole indagare
sull’accaduto. “
Se nella scuola ci fossero operatori con la dovuta preparazione nulla impedirebbe di organizzare eventi simili. Io stesso diversi anni fa organizzai una piccola drammatizzazione con una lotta tra due gruppi di ragazzi che si fronteggiavano in palestra impugnando i materassi. Nessuno si è fatto male e il gruppo dopo era molto più rilassato e capace di affrontare le dinamiche interne al gruppo…