Oggi un orecchio dilatato suscita impressioni contrastanti.
Sembra un marchio indelebile, un segnale inequivocabile, di ribellione, di libertà, di allergia alle regole implicite, di insofferenza ai benpensanti, coloro che si fermano all’apparenza e sono pronti a giudicare.
Ci vuole un po’ di coraggio per essere così. Bisogna sentirsi forti. Sicuri nella propria identità.
Bisogna voler sfidare il conformismo imperante pronto sempre a condannarti prima di conoscerti.
Era così anche nel ’76.
Bastava il capello lungo per essere nel mirino.
Era un segnale di riconoscimento: ribelle, anticonformista, probabilmente drogato, insofferente alle regole.
Eppure oggi io, ribelle di un tempo, allergico alle convenzioni e ai pregiudizi, faccio fatica ad accettare un orecchio dilatato.
Sarà un segno di vecchiaia? Di adeguamento ad una società superficiale, dove l’immagine esteriore condiziona il pensiero dei luoghi comuni?
O sarà soltanto una malinconia per un senso di libertà e di ribellione che sembra soltanto una ricchezza personale, lontana nel tempo.
O la coscienza che quella lontana illusione di libertà sia ormai sfumata, per quanto camminare a testa alta sia sempre e comunque un orgoglio, con accanto il proprio ideale di libertà.
Un libertà che è intesa in fondo come anarchia, ma con un profondo rispetto dei diritti di ognuno, prima di tutti quello di apparire come ci pare.
Grazie Tiziano, anche tu mi insegni qualcosa …
tu non sei mai stato anticonformista, Giorgio. Casomai il contrario.
Ecco perché l’orecchino ti da fastidio. Sei un conformista DENTRO la massa.
Nel ’76 era OVVIO E NORMALE avere i capelli lunghi, era quello l’identificativo di massa.
Chi era anticonformista? Chi magari i capelli li aveva cortissimi, e infatti non c’era nessuno che aveva il coraggio.
TUTTI i cantanti di quegli anni avevano i capelli lunghi e si atteggiavano a ribelli insofferenti.
E tu, come gli altri, ti adeguavi.
Conformista, piatto, senza identità.
Non ho ragione? Trovami UNO solo dei cantanti dell’epoca che non aveva i capelli lunghi…
Anche Bobby Solo, cazzo!
Se voleva vendere dischi, doveva CONFORMARSI.
Grazie Niccolò, si direbbe che nel ’76 mi conoscevi proprio bene, se sei capace di descrivermi tanto accuratamente “conformista, piatto, senza identità”
C’è del vero in quello che scrivi, anche se sulla mia personalità dell’epoca ti spingi un po’ troppo.
Era il conformismo per i giovani, ma era uno schiaffo per la generazione dei miei genitori. In quel senso gli eccessi hanno sempre graffiato, in un modo o nell’altro.
Quando non bastavano i capelli lunghi sono iniziati gli orecchini, e poi le creste e poi i tatuaggi ed i percing e i jeans strappati e poi i pantaloni calati che lasciano vedere sempre più mutande.
Quale sarà la prossima moda?
Il dilatatore fa parte di questo tipo di comunicazione: provocazione da una parte e conformismo dall’altra. Appartenenza a un gruppo. Ricerca di una identità anche attraverso un simbolo.
Quello che è curioso è che la nostra società ci condiziona sempre a dare un peso eccessivo a quelle che sono semplici mode. E la costante sembra essere la distanza degli adulti dai giovani, e soprattutto dagli adolescenti.
E’ soltanto un rito che si ripete, o nasconde invece altri meccanismi. Per esempio un tentativo di isolamento dei giovani, di emarginazione, che li tiene sempre più distanti dalla società, che li relega ai margini, in una specie di ghetto?
Non so, sono riflessioni …
Grazie per lo spunto.